Studiolo Laps | Unconventional Musical Research
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"L’idea fondante di queste nostre recinZioni, è l’intenzione di approcciarci all’ascolto di un’opera sonora
al di là di ogni fruizione meramente passiva, distensiva, svagante.
Il recinto è l’esatto contrario del libero (di)vagare, in quanto delimita, costringe, cancella ogni possibilità di fuga. Ciò da cui siamo convinti non si possa scappare, è l’impatto emozionale che una determinata opera, rapendoci (chiudendoci), ci regala.
Urto magico e sensoriale che spinge e costringe ad attivare condotte inedite di riflessione e scrutamento interiore. La musica, insomma, quale spina invisibile che punge timpani, cuore e meningi..."


Le RecinZioni di Malista:
___SL038___

Studiolo Laps Live Recording

Vol.1

Carlo Barbagallo / Olimpian Gossip

“Più della metà del nostro corpo è acqua, e questa non è una metafora; se lo fosse, più della metà del corpo sarebbe deserto. L’acqua lava, il corpo sporca. L’acqua macella la pietra, il corpo è lapidato. L’acqua è acqua e il sangue è rosso come la ruggine. E sai, quando piovve, il Tempo quaggiù era solo un grande Dente di Latte, e il Cielo unica Madonna, vedova di tempi. Non si può entrare due volte nello stesso fiume. Non si può entrare due volte nello stesso corpo. Eppure si può dire due volte la stessa parola. E’ un’ingiustizia, non credi? Mi dici “vivo”, e mi riconosci “lontano”. E la mia anima si sente così strana davanti alle porte...” A. Berschant

Apnea fonografica in ode all’opera “Carlo Barbagallo/Olympian Gossip – StudioloLapsLiveRecording Vol.1”.

Anche le chele corsi in cremisi corpi spesi scepsi nei cento tondi corridoi ben donde udiamo bombe ai venti due coriandoli di bava lava trema la cava in barca che tana teme a mo’ di meta anzi alla metà di metà dimessa deambula poi slitta latitata tromba ruba in soffio tuba tomba turb’alita sé se fu (as)salito dabbasso furbo col latte nel letto lotta steso altro rosa estro stronca chi incontrò scemo a schiumare mare d’amarsi molare al bagno gnomico delle carie stracc’attimo di niente sugl’occhi che si parlano di sale sì onde forse scende lento certo lungo mento ora riva accorta o mai più altro cos’è codesto desco aduso allungato sulle gengive dei geni tar-divi al gerundio apposito o tu banda slargata tenue tenni netta visione in pellicce lische graffiate anteriormente le nostre noie nordiche coi palmi bolsi fu scritto fatti nuvola e scavati cielo ce l’ho questo ma manca il resto andiamo ustione semmai santa dà voce lascio a mamma razzo una scia di fiamma sul nascere già infetta ebbe poesia abusata dal deserto no però dai lo si ammetta al primo pasto mangiaste tutto e lasciammo nulla ch’ogni cosa si paga e cara gentile appare risale salendo su pel canale d’arte alessandrina ove mai sarà caspita l’idrogeno dei vostri baci mostri attesi tra le in ferro battuto trame adriatiche dei marosi sparsi lungo i viali alti tacchi e petto in fuori lì saremo orbene a veder vederci da chi vide la vista cieca in orbita ci si bituma come oblungo cuore incedibile a che zero dice se tutto vuole volere volendo volersi voluto è lutto l’aulica lacrima del tutto anziché transfuga imbelle gambe a cui aggrapparsi per farla finita col botto artificiale ciarla il resto l’ottenga si figuri e nel cerume benedica il sole a meno che il più si perde fratto nell’ovvio sangue dei suoi bui.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL037___

Cercles pour George Bataille

Alessandro Ratoci

“Si sa quanto le guerriglie sviluppino il coraggio individuale, l’audacia e lo spirito di decisione; altrettanto può dirsi del sabotaggio: tiene in esercizio i lavoratori, impedisce loro di sprofondare in un’inerzia pericolosa e, siccome richiede un’attività costante e ininterrotta, ha il felice esito di sviluppare lo spirito di iniziativa, di abituare ad agire in prima persona, di stimolare al massimo la combattività”. E. Pouget   

Ciò che più colpisce dell’opera “Cercles pour Georges Bataille” – ennesima vibrante testimonianza di un operare compositivo estremamente erudito e ispirato che conferma appieno, se mai ve ne fosse bisogno, la qualità creativa dell’autore Alessandro Ratoci – è la sua capacità di porsi come atto esemplare di una sana ribellione espressiva, assai intelligente e quanto mai efficace ai fini del proprio intento sperimentale e, in qualche modo, sovversivo. All’ascoltatore attento, per tutta la durata del brano, viene offerto una granitica azione sonora che intende smantellare le logiche dominanti della tradizione musicale, intesa come organizzazione armonica e formale dei suoni acustici giostrati, essenzialmente, facendo riferimento a rapporti di impiego definiti, canonici, regolari, e quindi utilizzando prassi esecutive assai rigide, schematiche, necessarie, ordinate. Ogni ordine implica, per proprio principio interno, una severa gestione dell’eccesso e dell’irregolare, ossia una ferrea sottomissione – alla idea/forza dell’ordine appunto – di ogni forma eccentrica ed eslege. D’altro canto, qualsiasi pratica disobbediente che si ponga in aperto contrasto con la configurazione convenzionale delle regole stabilite, rappresenta una specie di sabotaggio attivo – cosciente, audace, combattuto – che rode dal di dentro proprio la potenza monumentale – stasi cadaverica dell’abitudine forzata – di quelle norme eminentemente tese, si è detto, al controllo cautelare dell’eccesso (“criminale”) e alla stabilizzazione uniformante, livellante e quindi allineante dell’irregolare (“mostruoso”). Criminale e mostruoso è (qui inteso) tutto ciò che non desidera piegarsi alla rigidità inerte degli obblighi coatti –  imposti, trovati, prestabiliti, già pronti – e che, quindi, non vuole darla vinta alle catene/gabbie della conservazione quietistica di una “normalità” – accettabilità, tollerabilità, ammissibilità – ritenuta dogmatica, inviolabile, immodificabile. Questo rivoltoso desiderio d’innocenza, lucidissima danza acefala attorno ai sacri fuochi dell’indefinito, rientra nella categoria esistenziale della possibilità: chance inderogabile che riguarda in modo esclusivo la volontà personale, disciplina autoimposta che riconosce in se stessa e da sé l’autorità a cui sottomettersi, a cui obbedire e destinare spontaneamente la propria libertà individuale. Quasi a dire che per essere realmente liberi (di inventare, di esprimersi, di vivere) non si può che obbedire a se stessi, non si può che farsi padroni e dunque custodi intoccabili del proprio essere servi di nessuno, al servizio di niente, sottomessi a nulla. L’opera in esame esemplifica compiutamente questa esplosiva volontà di liberazione umana e vi riesce appieno anche grazie alla estrema maestria esecutiva dell’ “ICTUS trio”, rappresentato da Michael Schmid (flauto), Tom Pauwels (chitarra) e Jean-Luc Plouvier (pianoforte), i quali sembrano incarnare alla perfezione la visione poetico-esistenziale di Georges Bataille, guerriero quanto raffinatissimo pensatore a cui il brano, con grande e riuscita pregnanza concettuale, è dedicato e a cui affidiamo molto volentieri la chiusura della nostra umile presentazione introduttiva: “La vita umana non ne può più di servire da testa e da ragione all’universo. Nella misura in cui diventa questa testa e questa ragione, nella misura in cui diventa necessaria all’universo, essa accetta un asservimento. Se non è libera, l’esistenza diventa vuota o neutra e, se è libera, è un gioco. La Terra, fino a quando ha generato soltanto cataclismi, alberi o uccelli, era un universo libero: la fascinazione della libertà si è offuscata quando la terra ha prodotto un essere che impone la necessità come una legge al di sopra dell’universo. Egli può fugare il pensiero di essere lui o Dio a impedire alle cose di essere assurde. L’uomo è sfuggito alla sua testa, come il condannato alla prigione. Egli ha trovato al di là di se stesso non Dio, che è la proibizione del crimine, ma un essere che ignora la proibizione. Al di là di quello che sono, incontro un essere che mi fa ridere perché è senza testa, che mi riempie di angoscia perché è fatto d’innocenza e di crimine: impugna un’arma di ferro nella mano sinistra e fiamme simili a un sacro cuore nella mano destra. Egli riunisce in una sola esplosione la Nascita e la Morte. Non è un uomo. Né tantomeno un dio. Egli non è me, ma è più di me: il suo ventre è il dedalo nel quale egli stesso si è smarrito, mi smarrisco con lui e nel quale mi ritrovo essendo lui, cioè mostro”.   
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL036___

Uskebasi Vol.2

Uskebasi

“Come è possibile che dei vissuti immanenti, oppure dei caratteri immanenti dei vissuti, significhino correttamente qualcosa che sta al di là della sfera immanente? Se la soggettività conoscente resta sempre e necessariamente presso di sé, il termine conoscenza indica un decorso di manifestazioni soggettive, di formazioni teoretiche soggettivamente prodotte. Ma un’oggettività trascendente (posta che ve ne sia una) deve essere in sé. Che importa all’essere del nostro conoscere? Che cosa indirizza il nostro conoscere all’essere? Come può essere conosciuto, in linea di principio, un tale indirizzarsi? La logica del problema presuppone chiaramente una base di partenza indiscussa e, in effetti, assolutamente indiscutibile: ogni conoscente ha i propri vissuti dati in immediatezza; può osservarli e afferrarli indubitabilmente nella loro realtà immediata con tutte le componenti interne e le connessioni che sia possibile individuare. Le rispettive verità sono però verità meramente soggettive. Non esiste una verità oggettiva, e se anche vi fosse non si darebbe mai la possibilità di conoscerla. Non c’è la minima ragione per sostenerlo”. E. Husserl  

Una piacevole conferma quella offertaci dagli Uskebasi che, con l’opera “Uskebasi Vol.2”, dimostrano, ancora una volta, un’eccellente padronanza strumentale e una vena compositiva davvero ispirata e godibilissima. Escursioni ritmiche, digressioni tematiche, dinamiche coinvolgenti, sfuriate solistiche ben calibrate e disposte con apprezzabile eleganza e maturo criterio, testimoniano un cammino di crescita aperto e sempre in divenire, foriero di picchi creativi e traguardi stilistici che attestano, con evidenza sensibile, una originalità espressiva da considerare, senz’altro, quale valore aggiunto e contraddistinguente l’essenziale qualità musicale del trio in questione. Far sembrare tutto facile, al di là del mero gioco di parole, è qualcosa di assolutamente difficile, soprattutto per quanto concerne l’arte dei suoni, in quanto richiede un livello tecnico-poetico estremamente elevato, ossia un carattere artistico interamente incentrato sulla curiosità d’apprendimento e sull’applicazione indefessa, entrambe necessarie per raggiungere determinate altezze performative e certe fascinazioni accattivanti. Per fare in modo, infatti, che l’ascoltatore possa emozionarsi, partecipare al flusso, sentirsi toccato, rapito, appassionato e quindi, in senso nobile, affinché l’ascoltatore possa “divertirsi”, bisogna che il primo “divertito” sia proprio l’esecutore o il musicista che dir si voglia. Non si tratta, insomma, di sciorinare o proporre  note e tessiture sonore,  bensì di vivere in, per e con esse: suggere dal complesso miele della musica la linfa principe della propria formazione esistenziale, imbrattandosi le ossa di stupore, sorpresa e orizzonti lontani. Detto in altri termini, occorre che l’attore sonoro divenga egli stesso l’atto che sta attuando: solo così l’astante, incantato da cotanto evento metamorfico, da siffatto amplesso trasfigurante, si ritroverà interamente “protagonista”, partecipe, complice, a bocca aperta, semimmerso nella meraviglia ludica della pura gioia sonante. E questo perché la buona musica altro non fa che trasformarci in piccole formiche, invisibili e anonime presenze di un mondo sconosciuto, in cui l’effettiva trasmissione intersoggettiva di input e risposte non avviene attraverso comunicazioni intellettuali, bensì chimicamente, ovvero tramite lo scambio reciproco dei cosiddetti feromoni: rapporto prodigioso e intangibile e perciò inviolabile, al riparo da ogni superbia logica umana, sublime.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL035___

Realism - Sinfonia n.2

Remo De Vico

“Nella musica il tempo svolge un ruolo essenzialmente più importante, qualitativamente diverso rispetto alle altre arti. La musica è nel tempo già in base al materiale di cui è composta. Il suono non solo necessita di tempo nel suo diffondersi, ma è esso stesso il risuonare del tempo, è un istante o un inizio, un perdurare e un finire in lassi di tempo di varietà potenzialmente infinita; è una durata che si offre in quanto tale al gioco, al misurare e al comporre, all’ordinare e allo scompigliare, al valutare, all’articolare e allo stratificare, al proporzionare e distruggere. Ogni successione musicalmente strutturata di suoni di qualsiasi tipo è dotata di forma e organizzazione, è composta, ha carattere di gioco: è tempo musicale.
Così è il tempo – a prescindere da tutti gli altri contenuti possibili e insieme con essi – che, mentre appare sotto forma di musica, la musica rende contenuto proprio. Il tempo musicale è tempo composto del vissuto. Il gioco della musica è sempre anche un gioco di tempo; un gioco nel e con il tempo, pervaso di contenuti di percezione e di esperienza vissuta. L’identificazione estetica, nel corso dell’ascolto musicale, è l’immersione dell’Io in un tempo esistente per sé. E il messaggio esistenziale e universale della musica è sempre, nelle sue potenzialità illimitate, anche un messaggio sul tempo.
Il tempo musicale non è tempo in sé (solo tempo e nient’altro), ma è sempre tempo sensualizzato e sonoro; con ciò è l’elemento sonoro (nel senso più esteso: l’essere-udibile), dunque un’entità specificatamente condizionata dal tempo, che procura e pervade la percezione e il vissuto del tempo. In altre parole:  il gioco musicale si svolge sempre con qualcosa che non è tempo (che non possiamo percepire come tale), ma che è nel tempo, mentre necessita di tempo ed è caratterizzato dalla temporalità – un aspetto percettibile (composto come percettibile) che, in quanto temporale, viene accolto nel gioco con il tempo e, a sua volta, lo determina; ad esempio: iniziare e finire, movimento, modifica, sviluppo, interrompere e reiniziare, fare una pausa, aumentare e diminuire, accelerare e rallentare ecc., anche, diciamo, comporre l’atemporalità o lo spessore del tempo o il gioco con aspettative, dove – volutamente – ogni presente è pervaso di passato e rivolto ad un futuro, o ancora la possibilità di una memoria musicale di qualcosa del passato o quella di un’attualizzazione di qualcosa del futuro, anche il concorso di diversi processi temporali (testo, musica, azione, immagine), per esempio nel canto, nell’opera, nel balletto e in cinematografia – e, oltre a tutto ciò, la possibilità di riannodare il tempo musicale non solo alla pulsazione ma anche al tempo “reale”, a quello per così dire “di tutti i giorni”, ad esempio al tempo del parlare, del ballare o camminare, del muoversi in generale e verso le dimensioni udibili della vita naturale nella loro inesauribilità.
La musica, di qualunque genere e periodo: tutta la musica (nella misura in cui rientri nel mio campo di esperienze) –  è tempo composto. Ma il tempo è la dimensione più esistenziale dell’essere umano, l’unica a cui non può sottrarsi; di tutte le realtà la più reale: le lancette dell’orologio non conoscono sosta. La nostra vita è situata nel tempo, nel tempo storico; ma ancora di più, molto più realmente nell’esistenza in quanto Io, in quanto spazio limitato, in quanto morte.
Il tempo musicale è, rispetto a questa realtà più reale, la controrealtà più reale, il prototipo del prorompere del tempo dal tempo, l’accoglimento di ogni cosa nella franchigia temporale: è liberazione dal tempo”. H. H. Eggebrecht

“Realism - Sinfonia n°2” (Remo De Vico): come sopra.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL034___

Nemeton

Remo De Vico

Squarcio drammaturgico ispirato da “Nemeton” (Remo De Vico).

A: Se chiudo gli occhi, e ci penso, poi li riapro subito.

B: E quando dormi?

A: Non ci faccio caso.

B: A cosa?

A: Che ho gli occhi chiusi.

B: Perché?

A: Altrimenti non dormo.

B: E quando sei sveglio?

A: Non penso a nulla.

B: Io invece quando dormo, sogno.

A: Che cosa?

B: Che sto sognando.

A: Caspita, quando parli ti capisco sempre.

B: Ho smesso di fumare perché ero sempre ubriaco.

A: Sì, anch’ io, in effetti, preferisco la montagna.

B: Ma sta ancora piovendo?

A: No, il cielo è stupendo.

B: Allora è piovuto ieri!

A: Ti sbagli.

B: Allora forse …

A: Calmati, calmati … pioverà domani, sicuramente.

B: E questa volta ci porterà via?

A: E che, vuoi finire in una fogna?

B: Perché, tu non puzzi?

Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL033___

Introspection

An Intimate Journey

Alessandro Rizzo

“La luce è il più grande mistero il cui curioso destino è di rendere tutto evidente; essa fuga e snida ovunque il mistero. E anche le ombre sembrano il riflesso dell’evidenza luminosa. Sono una creatura addomesticata. Il mistero per la luce dovrebbe essere soltanto l’opaco; l’opaco è per definizione l’assenza di mistero. L’evidenza della luce può essere quotidiana; il giorno è quotidiano e quotidiano è divenuto sinonimo di banale.
La notte non è mai quotidiana, è piena di sonno, l’eredità della stanchezza e della identità diurna. Ma sa evocare i sogni, sa essere in comunicazione con gli inferi con cui, senza saperlo, comunichiamo costantemente.  Noi siamo in origine l’abisso”.
A. Emo       

Un che di abissale informa “Introspection – An intimate journey”, sorprendente opera di Alessandro Rizzo, preparatissimo compositore elettronico che, ancora una volta, si fa apprezzare per il suo stile originale e davvero molto ispirato. Una importante patina di calibrata oscurità, pare avvolgere le variegate atmosfere del brano in questione, geniale viaggio sonoro che abbuia, con estrema forza, la “quotidiana” ricezione dell’ascoltatore, per regalargli il rarissimo dono dell’ abbandono cosciente: le palpebre si abbassano e si spalanca il regno dell’inaudito, del profondamente estraneo, del non solito. Arditezza compositiva che, per essere apprezzata appieno, richiede un impegno a distaccarsi dalle consuete dinamiche di ascolto, affinché ci si possa aprire all’incontro con l’inaspettato e il non convenzionale. In mancanza di codesta disponibilità intenzionale, l’ascoltatore si troverà di fronte, inevitabilmente, una massa informa di input acustici, sputata lì, senza senso e motivo alcuno. Dove sarà mai finito l’assolo strappalacrime, l’inciso virtuosistico, le chiare dinamiche del ritmo portante, il morbido barocchismo dei contrasti ben dosati, l’estatica facilità comunicativa della melodia centrale? Che fine ha fatto il godimento sensibile della musica, quel senso di benessere fisico e di rilassamento psichico, che solo la mirabile  e armoniosa arte dei suoni è in grado di offrirci? Feroci quanto più che leciti dubbi, questi, che in un lampo chiariscono la portata capitale della partita in argomento. Arriviamo quindi alla questione principale: perché l’ascoltatore dovrebbe sacrificare le proprie energie, ossia le proprie capacità di raccoglimento interiore, per ascoltare qualcosa di così complesso, alternativo e inconsueto? E, soprattutto, tale sforzo di concentrazione e attenzione, in che modo viene ripagato dall’artista sperimentale? Chi scrive non possiede risposte ultime, giacché non possiede ancora la grazia dei cadaveri, i quali, a rigor di logica, tutto sapranno, perché più niente potranno volere. E’ però innegabile, a nostro avviso, che un tentativo di risposta alla succitata domanda, è possibile rintracciarlo proprio nell’agire musicale del Rizzo, tutto intriso di assiduo lavoro sul suono e sulle sue possibili (infinite) manipolazioni creative. Ciò a dire che la composizione qui presentata, opera introspettiva e allucinata a un tempo, non può che essere il frutto di uno studio profondo, di scrupolo certosino, pazienza di ferro, serafica calma, riflessione continua, orgogliosa determinazione, convinta dedizione a superare i propri limiti, estrema disciplina a non improvvisarsi, a non fare le cose a casaccio o, ancora peggio, puramente d’istinto. Sorge, esattamente, dal mettersi continuamente in discussione, rivedendo senza posa le proprie direzioni e gli eventuali approdi, restando sempre attenti a non cadere nell’abitudine meccanica, nel già predisposto, nel preconfezionato industriale dei vari dispositivi elettronici in circolazione. E’ figlia, insomma, di un inesauribile esercitarsi a non avere bandiere, pregando sempre in ginocchio di non avere maestri, sforzandosi di diventare il più accanito fanatico di nessun dogma e costruire, quindi, il proprio recinto poetico sulle sconfinate nuvole della libera fantasia espressiva. Ebbene sì, l’impegno dell’artista è, ancor più in questo caso, quello di non prendere in giro nessuno. Nemmeno se stessi. E soltanto in questo modo può essere giusto, o meglio, è obbligatorio pretendere da parte dell’ascoltatore, nei confronti della propria sudata opera, estrema disponibilità, concentrazione e sincera partecipazione. Vi sarà allora, tra l’uno e l’altro, un giustificato scambio di impegni interpersonali, ossia un mutuo rimborso di applicazione, cura e rispetto reciproco, essendo la fondamentale “fatica” dell’ascoltatore – tentare di allargare il proprio orizzonte percettivo-musicale –  pienamente ripagata dal sacrificio/lavoro del compositore sopra descritto. Travaglio che, è bene sottolinearlo, dura una vita intera. Da qui l’allontanarsi fatale dalla luce quotidiana, dal regno delle forme precise, evidente paesaggio dei limiti azzurri e dei confini comuni. Un altro modo per dire che anche la notte, per chi ama il mistero delle palpebre chiuse, possiede un bagliore incredibile. Anche l’abisso splende di musica.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL032___

Iustitia et Pax

Aperion Project

In omaggio a “Iustitia et Pax” (Aperion Project):

Nelle ore più lievi, si saggiano appieno, delle gioie, le ciglia sparpagliate, assorte, sulle rive d’un pantano arcuato, cerchio interrotto, lasciato lì, a metà, da solo, a macinare variazioni inusitate. A che, le polveri smagrite degli orizzonti, si tengono, nell’umido orlo del vuoto, ove persi in ogni cosa, a squarciagola, fino in fondo, risuoniamo? Ritornello lucido dei boschi, in cui foglie cadute cibano il futuro tronco, superficie immensa coi capelli unti di vento. E quante ciarle, cuciture e nevi orgogliose abbiamo ospitato, cibato, accudito coi baci più caldi e sinceri, quando il carissimo spettacolo del cielo cobalto, sintesi sorda d’azoto e uragano, ci voleva ancora immensamente buoni. La spina friggente delle ossa visibili, siccome acceca le virtù captative degli esseri vibranti, il fiore nel prato rivolta, nell’immagine sublime di ciò che sboccia e si piega, entità fragilmente piantata, con grazia e passione ignota, nella sinfonia granulare delle tramontane atonali. Assicurano, queste, un costante falso bordone di apnee aurorali, così compresse ed equanimi da ribaltare presto gli occhi al godimento estremo. Giacché è possibile riconoscersi, forse, solo in ciò che si violenta. In ciò che abbatte i confini. E rapisce, dal suolo staccato, nei piedi un’ancora, peso tragico inchiostrato d’eccesso. Sposo cronico del muschio, fuor dal piccolo convento intimo, l’ arcobaleno pneumatico, goccia raggrumata di vapore acqueo, amorfo contenuto, bellezza variopinta del fantasma aereo, informa, finanche, le dolci lacrime dei coccodrilli, stanchi di mostrar le fauci, per respirare. Troverai nella ripetizione, quindi, la quiete e la frusta, abbracciate come deboli fanciulle stremate, prese dall’invincibile timore di non farcela a reggersi da sole, poiché pesa così tanto aver una testa attaccata al collo e alla bile funesta. Che poi non quattro racconti bastano ad alleviare i graffi e gli strilli della mente, se mentir non sai, a te stesso, il greve cariarsi degli incisivi esiziali e di tutti quei bei sogni a cui ti abbandonasti sotto la tiepida doccia dei sudori autunnali, quando anche gli uccelli non sanno darsi pace e iniziano quindi a cantare il loro carme alla vita, per rompersi con più acuto moto il cuore e con meno dolore, dunque, congedarsi dal regno indiscusso della musica. Sarà allora il tuo assolo, quel singhiozzare il tempo, ciò che nemmeno la morte saprà ripetere.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL031___

Uskebasi

Uskebasi

“Nel procedimento compositivo la melodia, il ritmo, l’armonia, il contrappunto e la forma vengono presi in esame più o meno contemporaneamente. La tecnica e l’immaginazione del compositore gli consentono di avere presente tutto ciò nel proprio orecchio mentale, anche se per trasferirlo sulla partitura sarà indispensabile una laboriosa fase di abbozzi. Il prodotto finito presenta questi elementi come un insieme unitario; non si direbbe, ad esempio, che dapprima sia stata concepita la successione delle altezze nella melodia, quindi a questa sia stato applicata un ritmo e infine sia stata studiata un’armonizzazione della linea. Chi analizza sa che qualsiasi suddivisione dell’insieme nei suoi componenti sarà certamente un procedimento artificiale e che il procedimento del compositore non può essere esattamente ricostruito”. W. Piston   

Inno grintoso al rigore creativo, parossistico canto di lode rivolto all’essenza stessa della strutturazione ritmica e della sequenzialità melodica, alle loro molteplici sfaccettature e poliedrici rimodellamenti. Un congegno sonoro di ottima fattura, quello offertoci dal trio Uskebasi. Apparato estremamente versatile, colmo di virtuosismi esecutivi, egregiamente arricchito da notevoli risvolti compositivi, assai pregnanti e coinvolgenti. Alcune ispirate divagazioni astratte, certi bruschi rallentamenti, intense atmosfere quasi sempre inaspettate e altri fascinosi inserimenti di colori e voci esterne, sapientemente calibrati e disposti, testimoniano, se mai ve ne fosse bisogno, l’intento non convenzionale dell’intero progetto e l’intrigante ricerca poetica a questo sottesa. Fin dai primi minuti dell’album omonimo, contenente in tutto sei brani, a splendere appieno è la manifesta  padronanza che i tre musicisti – Dario Piccioni (basso), Mauro Di Tomassi (chitarra), Claudio Cicchetti (batteria) – dimostrano di possedere nei confronti dei loro rispettivi strumenti. Competenza tecnica e capacità di controllo, ben valorizzati da un approccio unitario curato fin nei minimi particolari, mirato a creare, continuando con l’immagine d’apertura, un marchingegno sapientemente realizzato, figlio legittimo d’una passione ricercata e impeccabile disciplina, ataviche compagne d’amore e d’altre avventure indicibili. Il variegato corredo timbrico affidato all’effettistica della chitarra elettrica, mai opprimente o inopportunamente invasiva, permette importanti respiri percettivi all’interno di un precipitato musicale che, fuor di metafora, assai somiglia ad un’imponente quanto inesauribile cascata di camaleontiche trame percussive e sfaccettati sfarfallii di note a franare. Un eccellente lavoro che, a nostro parere,  troverebbe forse la sua migliore collocazione ricettiva in un contesto dal vivo, in quanto – oltre all’innegabile fascino rappresentato dal libero vagare aereo delle onde elettroacustiche, finalmente affrancatesi dal circoscritto campo di propagazione direzionale delle cuffie stereo – potrebbe frugare ogni dubbio in merito al fatto che a governare quegli attrezzi musicali, ad intessere quelle elaboratissime dinamiche, a sciorinare quelle velocità pazzesche e quelle precisioni maniacali, non sono delle macchine, né degli automi, nemmeno dei mostri alieni, bensì degli esseri umani in carne ed ossa. La misura (il tempo) qui non è più un limite costrittivo, ma impulso vivace a scomporre, a spostare, eclissare, slittare. Complicarsi la vita – cos’altro sarebbe l’arte? Serissimo gioco a mancare, a truccare l’ approdo, a non voler chiudere nulla e così ripartire di nuovo, verso l’ignoto. Voler nessun genere, nessun giudizio, nessuna definizione. Perché, come ribadito dagli Uskebasi, alla musica non si addicono i concetti, figurarsi le salme.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL030___

Attraverso Nausicaä

Riccardo Castagnola

“Al fato dicemmo il nostro nome sbagliato:
il buio brucia i fiori mentre il sangue, tenuto, intaglia
nelle vene
delle matte parole di pace e di farsa;
sentimmo fare le nostre ferite
in uccelli d'acqua,
sapevamo che a niente avrebbero tolto la sete
e che un vento privo di razze,
a nord, li avrebbe fatti ghiacciare:
e dov'è, ora, quel nordico silenzio che ama come un figlio la carne?
Solitudine più nostra a chi dopo di noi ci resta:
entriamo per questa porta di sale,
io e te
come due mani sinistre
e che per questo non si possono dare,
andiamo,
da qui sbarca il buio sulle cose,
premuto com'è un bimbo nella pancia,
da qui
i pensieri sono leggerissime ossa
che posiamo sul capo di chi amiamo:
anche io, in questa stanza, sto bruciando”. M. Lionetti

Vi sono luoghi della mente in cui non si muove un passo. L’aroma delle caverne originarie e il profumo impossibile delle albe non viste, sembrano farsi compagnia, come antichi amici a cui il silenzio non fa più paura. Non v’è modo d’accorgersi dell’acre olezzo delle esistenze terrene, umiliate a rantolare attorno all’asse obliquo dell’essere. E mai nessuno all’orizzonte, con la cesoia sacra, a mozzar le lingue giornaliere delle idee, macigni intrisi d’orfani e ossari, pasciute nel fango delle potenze progressive. Sì, anche la tua povera legna ammuffita, questa rosa calpestata, i tuoi cassetti fantasiosi, le invidie affamate, l’inutile larva e il platino benedetto, si allontanano poi dalla dimora instabile delle evidenze quotidiane, portandosi fuori dal raggio limitato dell’esperire, per farsi catena invisibile. Come il sole che annega nel mare, per placare la sua sete d’immenso. Umile casa, semplice risaia di gioia e ponti profondi, disfatta dall’esuberanza mobile dei mortali. Un gregge di spine nell’incavo dell’eterno. Sta tutto fermo lì, dove non siamo. Basta morire, per essere dimenticati. Ma non basta dimenticare la morte, per credersi vivi. Un suono di cenere celeste, forse, il nostro stesso respiro, palude aerea in cui le tempie urtano di continuo contro l’oscillante biodiversità degli enti cosmici, risonanti gocce di mistero sulla membrana circolare dell’inaudito. La traccia dell’orma cancellata: passaggio di pressione e sparizione, resta questo e ciò che non riusciremo ad ascoltare.
Ringraziamo di cuore il compositore Riccardo Castagnola, per la sua impressionante opera “Attraverso Nausicaa”, per l’arsura antica e il suo nobile coraggio: egregia fonte di ispirazione per artiche elevazioni e stupefatte stasi extramondane.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL029___

Minimal-Garde

The Electereo

“Tra i più rinomati musicisti della Persia ve ne fu uno, di nome Barbod; ogni volta che il Ministero aveva perorato a corte un grave problema, senza riuscire a convincere il Re, la questione era subito affidata a Barbod, per cui egli andava a corte col suo strumento, suonava la musica più adatta e commovente, e raggiungeva immediatamente lo scopo, perché il Re era subito toccato dalle melodie, sentimenti di generosità lievitavano entro il suo cuore, ed egli cedeva. Potete provare a fare questo: se avete un grande desiderio e volete ottenere lo scopo, provate a farlo con un vasto uditorio dopo l’esecuzione di un grande assolo, ma dovete farlo con un uditorio sensibile alla musica, perché vi sono persone simili a pietre e la musica non può commuovere le pietre”. Abdu’l-Bahà       

Un compendio di frequenze corrose, un breviario di oscillazioni infinitesimali, un concentrato di iperboli acustiche, una carrellata personalissima di suoni falliti – tutto ciò, in estrema sintesi, è “Minimal-garde”, avventura sonora a firma The Electereo, eclettico duo di musica sperimentale, formato da Remo De Vico e Alessandro Rizzo. Coppia artistica già in precedenza incontrata e apprezzata per l’originalità della poetica compositiva proposta, questa volta impreziosita dalla maestria esecutiva di Mattia Biondi, presente con un breve intervento di chitarra elettrica nell’ultimo dei quattro brani che vanno a formare l’album in questione. Un’opera sicuramente di non facile approccio, ma allo stesso tempo, proprio per questo motivo, dalle intrinseche possibilità interpretative e dalle molteplici evocazioni contenutistiche. Giacché qui, a nostro avviso, non si tratta di pura ribellione, né di improvvisato furore iconoclastico, semmai di un affronto diretto, un oltraggio deciso, un serio attacco contro il concetto di altezza, armonia, misura, costruzione, tema, svolgimento, bilanciamento, fusione, equilibrio, direzione, evoluzione e approdo. E’ la struttura formale della musica stessa, insomma, a essere messa in discussione, attraverso una particolarissima serie di modellamenti sonori, estremamente efficaci e ben calibrati, capaci di creare, all’interno di un contesto elettronico, una imponente frattura sensibile e progressiva, in cui il ruolo dell’ascoltatore, col passare dei secondi, si ritrova messo sempre più alla prova e quasi “ingiuriato” nella sua funzione di razionalizzazione/realizzazione post-appercettiva. Da ciò ne deriva, per forza di cose, la ferrea impossibilità di portare a compimento qualunque ricerca di senso (immaginario/emotivo) grazie al quale tentare di decifrare e quindi codificare interiormente gli impulsi acustici ricevuti. Parrebbe, quindi, messo fuori questione qualunque legame simpatetico e di comunicazione tra il compositore e l’ascoltatore, tra l’io e l’altro, tra il creatore e il mondo esterno, quasi a denunciare, senza mezzi termini, la morte definitiva dell’arte intesa quale fonte esemplare di legami interpersonali e aperti confronti. Eppure, a ben notare, qualcosa resiste a questo attacco, a questa apparente ingiuria: il silenzio. “Minimal-garde” è infatti pieno di silenzi, di dissolvenze a uscire (dal suono, dalla presenza), di allontanamenti percettivi. E’ cioè pieno di musica, di oblio, di tramonto. Il ricercato oltraggio degli The Electereo, allora, è possibile intenderlo come una cruda domanda di concentrazione profonda, una violenta richiesta di sensibilità profusa e di interesse riflessivo: assolo sfacciato, non rivolto alle pietre.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL028___

Potrebbe Essere

Cronistoria di un Dubbio

Alessandro Rizzo

“Senza l’imperialismo del concetto, la musica avrebbe preso il posto della filosofia: sarebbe stato il paradiso dell’evidenza inesprimibile, un’epidemia di estasi”. E. M. Cioran
 
L’opera di Alessandro Rizzo, dall’ermetico titolo “Potrebbe essere – Cronistoria di un dubbio”, si fa apprezzare per la sua struttura multiforme e aperta, originalmente elaborata e montata con buona competenza formale. La complessa commistione di sonorità eterogenee, nonché la specifica funzione compositiva assegnata ad ogni singola fonte sonora presente nel brano in questione, rendono quest’ultimo un interessante esempio di sperimentazione creativa, dal chiaro intento paradossale e anarchico, assai coinvolgente e godibile. Grande rilevanza viene assegnata alla partitura ritmica, qui rappresentata dal basso e dalla batteria, elementi base su cui puntellare e far emergere bordate elettroniche, lampi psichedelici e altri stupefatti abbagli acustici. Di grosso impatto, infine, gli interventi emozionali cadenzati da Francesco Votano, versatile artista performativo, sempre pronto a frequentare i crinali magici e gli orizzonti ciechi dell’autentica spontaneità espressiva. Il merito principale dell’opera, a nostro avviso, è possibile rintracciarlo nel fatto che “Potrebbe essere”, grazie alla sua franca veste ironica ed energica, riesce ad offrire, con un buon effetto complessivo, un altro punto di vista rispetto a determinate tendenze stilistiche poco disposte a confrontarsi con il discorso ritmico-strumentale, qui invece, si è detto, in primo piano e ben valorizzato. Anche per questo motivo, una presentazione  (con strumenti e musicisti) dal vivo di più brani composti seguendo questa metodologia formale – multiforme e aperta, paradossale e anarchica, come specificato in apertura –, sarebbe forse in grado di catturare la curiosa attenzione di chi ama l’originalità creativa sapientemente applicata alla musica non convenzionale. Piccola chiosa, questa, ed umile suggestione che ci permettiamo di indirizzare ad Alessandro Rizzo, eclettico e raffinato autore elettronico, già in precedenza incontrato e apprezzato per le sue indiscutibili capacità tecniche e contenutistiche: sudate conquiste e doti indispensabili per poter costruire un maturo progetto artistico, finalizzato al coinvolgimento di una fetta di ascoltatori non più sotterranea e di nicchia.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL027___

The Road to Machu Picchu

Remo De Vico

“Più soffriamo, più acquistiamo, a mio avviso, il senso del comico. Solo nella più profonda sofferenza scopriamo la reale autorità del comico, capace di trasformare con una parola, come con un colpo di bacchetta magica, quell’essere dotato di ragione che è l’uomo in un Pulcinella. E’ un’autorità simile a quella dell’agente di polizia, che al primo ingombro del traffico ricorre subito al manganello, sordo a ogni discussione. La vittima si ribella, solleva obiezioni, vuole fare osservare i suoi diritti di cittadino, minaccia una denuncia, solo per prendersi subito un nuovo colpo di manganello e sentirsi dire: “Circolare, non resti piantato lì”. Resistere, protestare, minacciare denunce, sono solo patetici tentativi del povero diavolo di prendere le cose sul serio; ma il comico lo fa vedere alla rovescia, come l’agente che, senza spiegazioni, gli fa girare i tacchi a forza di manganello e lo riprende di schiena, rendendolo comico”. Frater Taciturnus       

L’intrigante opera sonora di Remo De Vico, “Road to Machu Picchu”, tessitura immaginifica di elevati abbandoni e ossessivi ritorni, salva dalla lingua, che balla, nel perso volo, la dolce nenia dell’astruso, mentre, riversa a terra, risuona l’eco infame della saliva, di lacrime aggrumate umido candore, che delira il nome delle gioie a venire:

Sopr’ ‘a carn sfatt arrotolate ciarlano

tramazze di scienzinfuse in bustenormi

arient’ ‘o bollitò-traverso-cranico

k’annerì all’us’oscur’ ‘e nada

keèn’ata stazza ancora e l’ecotrauma

le ronza ‘ttorno collo crac-ta-buum

colle bott’entest sì tropp troppe

se intravogliono sui nei spaiati della notte

ossia arienati presto al tumido dell’antro

chesesinfilzasenzatr-tr-tr

eh giapoi fassaimaluccio

comme l’agogiuntura sciolta e diluita bene  

dai saccendoiononmaccendonaltri

cuando all’albatroia extramonta

l’oculareglobo deglalfabeti.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL026___

Dittico di una Possibilità

Francesco Bianco

“Sprofondiamoci nella nostra interiorità, in modo tale da dismettere l’uso dei sensi e dell’intelletto, che funziona secondo la capacità conoscitiva esterna. Distaccandoci, solamente le capacità conoscitive di superficie rimarranno in attività. Nella nostra interiorità non abbiamo alcuna impressione, per la quale dapprima cercare una causa distinta da essa; non possiamo in seguito rappresentare noi stessi spazialmente e siamo totalmente immateriali, cioè in noi la legge di causalità non trova alcun impiego e siamo totalmente liberi dallo spazio e dalla materia. Pur essendo completamente senza spazio, cioè non possiamo giungere all’apparenza di una forma della nostra interiorità, tuttavia, proprio per lo stesso motivo, non siamo in alcun modo un punto matematico. Sentiamo la nostra sfera d’attività così lontana, quanto ricca; solamente ci manca il mezzo per rappresentarla”. P. Mainländer
 
L’opera di Francesco Bianco, “Dittico di una Possibilità”, si contraddistingue per la sua ricercata povertà formale, delicato dispositivo compositivo, questo, non sempre agevole da utilizzare, ma qui ben adatto a bilanciare un contenuto concettuale altrimenti troppo presente e forse esageratamente preponderante. Un forte lavoro a togliere che si fa apprezzare, soprattutto, per la granitica presenza del silenzio, adoperato come elemento cardine e fondante, capace di presentarsi e inserirsi come valore aggiunto all’interno dell’intera composizione sonora. Diminuire, ridurre, sottrarre il volume complessivo delle fonti acustiche, in questa occasione porta con sé un’addizione e un aumento considerevole di evocazioni seminascoste e risonanze sotterranee, che con vigore chiamano, ben presto e senza mezzi termini, la sensibilità personale dell’ascoltatore alla scelta inderogabile della decisione o della rinuncia: proseguire o meno un’indefinibile esperienza intima, un viaggio a ritroso, un tuffo al contrario. Un lancio verso l’opposto, che va dalla foce alla sorgente, dal suono al non udibile, dall’esterno al vuoto, dalla sostanza all’interiorità. Una sincera poetica del commiato, assai coraggiosa e perciò molto rara, implicante uno sforzo espressivo calibrato e feroce, giacché distaccarsi è un’attività invisibile ed estrema, ostica ai più, così come non in tanti possono rincorrere ricche lontananze, ove smarrire i sensi e l’intelletto. “Dittico di una Possibilità”, in conclusione, ci riporta alla superficie del suono e forse dell’arte: un orizzonte infinito che sprofonda e in cui si lotta, sempre e soltanto con se stessi, per liberarsi dal peso orrendo della materia.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL025___

Tark

Distance Compositions Group Phonologia

Sono davvero rare le occasioni in cui ci accade di ritrovarci incapaci di dire alcunché. La mano inizia a tremare, tentenna e infine si blocca, rifiutandosi di scrivere significanti su significanti, termini su termini, parole su parole. Ma non perché non si voglia affrontare ciò che teniamo di fronte, bensì perché ci si rende conto che nessuna nostra umile parola, sarebbe degna di presentare ciò che possiede la possente energia e il fascino misterioso della bellezza autentica. Giacché la scrittura umana, non sempre può esprimere i pieni sentimenti e le profonde sensazioni scaturenti dallo stupefatto incontro col sublime, col grandioso, con l’ineffabile appunto. Codesto blocco linguistico che, in qualche modo, stiamo comunque provando a giustificare e argomentare, ci deriva dall’ascolto attento dell’opera “Tark”, ideata ed eseguita da “Distance Compositions Group Phonologia”, collettivo di ricerca musicale composto da un folto gruppo di eccellenti artisti: Carlo Barbagallo, Alessandro Ratoci, Alberto Prezzati, Mattia Bonafini, Riccardo Castagnola, Sam Salem, Remo De Vico.
All’ascoltatore interessato a saperne di più circa i contenuti precisi dell' opera in questione, consigliamo vivamente la lettura della dettagliatissima presentazione redatta dallo stesso collettivo, grazie alla quale si comprenderanno al meglio gli intenti concettuali e gli esiti espressivi dell’intera composizione sonora, intelligentemente ospitata all’interno del pregevole archivio curato dallo Studiolo Laps. Per chi, invece, sentisse il bisogno di riempirsi l’animo con alcune brevi suggestioni poetiche, affinché esse possano facilitare in qualche modo l’approccio spirituale al presente brano targato “D. C. G. P.”, ci permettiamo di ricopiare uno stupendo frammento scritto dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, finissimo amante dell’arte musicale e suo erudito analista.
Poche mirabili righe che, meglio di ogni altra cosa, rappresentano e descrivono l’ermetico stupore che  “Tark” ha in noi suscitato, rendendoci finalmente muti dalla meraviglia: “M’immagino una musica il cui più raro incanto consiste nel non sapere più nulla del bene e del male, solo di essere percorsa qua e là da una qualche nostalgia di marinaio, una qualche ombra dorata e da delicate debolezze; un’arte che vedesse fuggire verso di sé da grandi lontananze i colori di un mondo morale al tramonto, divenuto quasi incomprensibile, che fosse abbastanza ospitale e abbastanza profonda da accogliere simili tardi fuggitivi”.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL024___

Pièce pour 11 Musiciens

Mehdi Kazerouni

“L’unilateralità dell’immediatezza nell’Ideale implica l’unilateralità opposta di essere un’entità fatta dall’artista. Il soggetto è l’elemento formale dell’attività, e l’opera d’arte è espressione di Dio solo quando in essa non v’è alcun segno di particolarità soggettiva, bensì il contenuto dello Spirito immanente viene percepito e partorito immacolatamente, senza mescolanza e senza la relativa accidentalità. Tuttavia, poiché la Libertà procede solo fino al pensiero, ecco che l’attività riempita con questo contenuto immanente – l’attività come entusiasmo dell’artista – è un pathos non libero, è come una potenza estranea entro l’artista stesso. Nell’artista la produzione ha la forma dell’immediatezza naturale, è di pertinenza del genio in quanto questo soggetto particolare, e, a un tempo, è un lavoro che richiede competenza tecnica ed esteriorità meccaniche. Di conseguenza, l’opera d’arte è anche un’opera del libero arbitrio, e l’artista è il mastro che padroneggia Dio”. G. W. F. Hegel
                                                                                  
Cinque minuti di rara bellezza sonora, in cui a risplendere è la raffinatezza esecutiva di una partitura compositiva particolarissima, elegante, a tratti leggiadra, tremendamente complessa, colma di guizzi acustici toccanti e ben strutturati, ricca di interessanti capovolgimenti timbrici, di originali impatti emozionali, di estreme peripezie tonali e di un singolare modo di pensare gli strumenti tradizionali quali esemplari attrezzi vibranti da violentare, accarezzare, dimenticare, mortificare e, attraverso ciò, glorificare. Questa, in estrema sintesi, l’opera di Mehdi Kazerouni, “Piece pour 11 musiciens”, la quale descrive alla perfezione ciò che lo Studiolo Laps, da ben sei anni, offre e rappresenta: uno spazio virtuale inglobante e radicalmente multiforme, in cui a padroneggiare è soltanto lo spirito di ricerca e il desiderio di sperimentare nuovi e altri approcci espressivi, inerenti per lo più il campo dell’arte sonora. Un’ esperienza coraggiosa che ha saputo costruire, con tenacia, impegno e pazienza, legami inediti fra realtà artistiche tra loro anche parecchio eterogenee. Che ha saputo creare un concreto punto di incontro in cui poter scambiare, in modo reciproco, esperienze, conoscenze, suggestioni e suggerimenti fra i vari compositori, gli artisti e gli appassionati fruitori che, con vivo entusiasmo, hanno sposato il progetto e il sogno di questa piccola ma importante NetLabel italiana. Ma, soprattutto, lo Studiolo Laps è stato in grado di restare umile, ossia aperto di mente e di cuore, immune da qualsivoglia presunzione e libero da qualunque pregiudizio, disponibile al confronto e sempre voglioso di alimentare e quindi ospitare all’interno del proprio archivio musicale, le più disparate diversità stilistiche, concettuali, compositive, poetiche. Allo Studiolo Laps, insomma, non possiamo non riconoscergli il merito di aver saputo correttamente adoperare la propria intelligenza, capendo in modo esatto che la vera arte, in fondo, consiste nel saper unire le idee e le forze: non restare soli.  
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL023___

Musica Ripudiata

Daniele Del Monaco

“L’arte è il sentiero del creatore verso la sua opera. I sentieri, o metodi, sono ideali ed eterni, per quanto siano sempre in pochi a vederli, e neanche l’artista stesso li vede per anni o per un’intera vita, a meno che non venga a trovarsi nelle condizioni necessarie. Il pittore, lo scultore, il compositore, il rapsodo epico, l’oratore, tutti condividono un solo desiderio: quello di esprimersi con proporzione e a profusione, non in modi spiccioli e frammentari. Essi si trovano o si pongono in certe condizioni, come il pittore e lo scultore dinanzi ad alcune figure umane che li impressionano; l’oratore, in un assembramento di persone; e gli altri in scene tali che ciascuno le trova eccitanti per il suo intelletto; e ciascuno avverte immediatamente il nuovo desiderio. Ode una voce, vede un cenno. Poi capisce, con meraviglia, quali orde di demoni lo circondano”. R. W. Emerson

Nel variegato orizzonte della storia dell’arte, non è raro incontrare fenomeni artistici o singoli creatori che hanno tentato di scardinare e stravolgere quel concetto classico che vuole l’arte quale regno indiscusso dell’armonia estetica e dell’eleganza stilistica. Tentativi mirati, anzitutto, ad abbattere l’incanutito dogma secondo cui l’arte debba essere a servizio esclusivo della bellezza, della grazia, del piacevole, del godibile. In questo contesto di demolizione teorico-pratico, possiamo comprendere e includere varie sperimentazioni appartenenti ai diversi campi dell’esperienza artistica. Codesti grandi distruttori di vecchie certezze estetiche, appartengono in realtà ad un’unica grande famiglia: il pittore che usa la sua tela quale supporto tecnico-espressivo da bucare, tagliare, estroflettere, incendiare, incatramare e, quindi, non più soltanto come strumento per rappresentare (ri-presentare) il presupposto e opinabilissimo fascino della realtà (immaginaria o reale che sia); il regista cinematografico che spegne le cicche di sigarette sulla pellicola del proprio film, che vi infierisce con lame e coltelli, senza più alcun rispetto per l’immagine, la trama narrativa, il senso, il contenuto ecc. ; il poeta che rompe il verso e scorda il linguaggio, rendendoli finalmente liberi e non più sottomessi ad essere meri vettori di toccante liricità e leggiadre risonanze interiori; lo scultore che deforma la materia su cui lavora, che stravolge i canoni formali della prospettiva, che dileggia apertamente i rapporti delle proporzioni affinché si possa, in tal modo, superare la soglia della normalità e così sperare di sfiorare il mai visto o l’inguardabile; l’artista teatrale che non vuole pensare lo spazio scenico quale piazza pubblica del miserabile privato umano, quale amplificatore fisico della quotidianità antropologica (sociale, politica, economica, ecc.), ma che invece intende ricollegarsi a quella origine misterica secondo la quale a teatro si andava per essere testimoni di un evento terribile e spaventoso, ossia per assistere alla morte di un dio e non certo per ascoltare le trite scemenze logorroiche dell’essere bipede e parlante. Tutti questi deturpatori, insomma, sembrano accomunati da un’identica sete di estrema autonomia espressiva e dall’identico desiderio di non rinchiudere l’esperienza artistica in facili definizioni o concetti preconfezionati. Di questa eroica famiglia di banditi e pirati santi, ne fanno parte anche i creatori musicali, i quali forse più di tutti sentono il bisogno di superare categorie troppo restrittive e soffocanti. Ne è un esempio l’impegnativa opera di Daniele Del Monaco che abbiamo l’onore di presentare oggi, il cui titolo sintetizza alla perfezione quanto finora scritto: “Musica ripudiata”. Attraverso nove brani molto complessi, il nostro compositore mette in atto tutta una serie di raffinati procedimenti destrutturanti grazie ai quali l’intera opera risulta sfuggire ad ogni precisa o facile o definitiva classificazione. Un ricercato radicalismo musicale che gonfia a dismisura l’apparato e i vari congegni orchestrali, dotandoli così di una particolarissima potenza acustica in grado di stordire nel profondo l’ascoltatore, il quale ben presto vacilla e viene risucchiato in un gorgo di violenza e oscenità sonore dal grande effetto emotivo e percettivo. Tutto ciò unito ad una eccelsa poetica del caos e del disordine, che si fa apprezzare per la rigorosa concettualizzazione compositiva e per la notevole esecuzione sinfonica. Un’opera, in breve, che ci conferma quanto sin qui sottointeso: chi ripudia l’arte non la uccide affatto, bensì l’omaggia e l’eterna.  
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL022___

Slowness

Rouzbeh Rafi'e

“Penso che tra tutte le cose che si trovano nel corpo, nessuna più del sangue contribuisce alla prudenza. Infatti quando il sangue è in uno stato di stabilità, anche la prudenza si stabilizza, quando invece c’è ricambio di sangue, la prudenza si perde. Vi sono poi molte prove che le cose stiano in questo modo. In primo luogo ce ne dà conferma il sonno che è comune a tutti gli animali. Perché quando il sonno invade tutto il corpo, il sangue diventa freddo, in quanto il sonno ha dalla natura il potere di renderci freddi. Poi diventato freddo il sangue, diventano più deboli i suoi canali e ciò risulta chiaro dal fatto che i corpi, appesantiti, si piegano, gli occhi si infiammano, la prudenza subisce un mutamento, opinioni strane assalgono la mente e la mettono a dura prova: tutto ciò ha il nome di insonnia”. Ippocrate

Ancora una volta l’archivio musicale curato con gran passione e attenzione da Studiolo Laps, ci offre la rarissima possibilità di lenire un po’ i tormenti e le ansie che spesso colorano d’oscuro le insonni ore della notte. L’ascolto dell’opera sonora a firma di Rouzbeh Rafi’e D., dal titolo “Slowness”, ci trasporta infatti in una speciale dimensione ondivaga, a metà strada tra il sogno e l’incubo, lo strappo e la carezza, il bacio e lo sputo, grazie alla quale c’è dato sperimentare, sulla nostra stessa epidermide sensitiva/emozionale, un senso di semidistacco dalla realtà e dalla sua indefessa quanto oscena carovana di preoccupazioni e angosce. Impressione di allontanamento ben favorito dalla specifica architettura interna dell’opera in esame: un tema delicato e molto toccante, con gran stile deturpato da improvvisi impatti e sfregamenti acustici, che si dipana con profonda pregnanza musicale, seguendo una acuta struttura esecutiva che fa della ripetizione, della ciclicità, della reiterazione ecce/osse-ssiva il suo perno fondante e il cuore concettuale dell’intero brano. Continuo ritorno di ciò che fu. Circolo che si compie e compiendosi riparte  come prima, assolutamente identico. Catena di suoni quasi immobile nel suo ripresentarsi immutata. Rotante rosario di toni e frastuoni in cui l’amen non sancisce più la fine rituale, bensì la ripresa, l’ancora, il di nuovo, un’altra volta, un altro giro. E girando girando, si inizia a non aver più coscienza e contezza del proprio equilibrio psico-fisico, giacché  nel vortice si perde anzitutto il controllo e la sicurezza di essere un corpo abitato dal sangue, corpo sanguinante che abita un mondo d’acqua e terra, umido globo che prudente rotea su se stesso, mentre i suoi sempre più stanchi ospiti rotolano ogni santissima notte tra lenzuola troppo pesanti per raffreddare, troppo strane per toglierci le fiamme dagli occhi.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
___SL021___

Via di Fuga N.6

Remo De Vico

“I filosofi affermano che il mostro è dato da un ostacolo della materia o da un errore della natura. Noi diremo che esso ha la sua radice non nella massa inadeguata della materia, ma in un movimento disordinato, sconvolto da cause contrarie. Infatti, il solo ostacolo non genera il mostro, ma semplicemente arresta un processo naturale”. G. Cardano

Se potessimo sintetizzare un intero brano sonoro in un’unica immagine, per rappresentare l’opera di Remo De Vico, “Via di fuga n°6”, dovremmo allora figurarci un allegro adolescente il quale, per spostare il ciuffo di capelli che gli impedisce la vista durante una partitella di calcio sotto casa, per errore si infila un paio di dita nel suo malcapitato occhio destro. Oppure un vivace ragazzotto che, preso dalla smania di accendersi la prima sospirata sigaretta della giornata, finisce sbadatamente per dare fuoco alla giovane peluria che gli imbruna(va) le fresche guance. Oppure un anziano e rispettabilissimo signore che, chiamato a ricordare pubblicamente un illustre esponente della cultura con cui condivise decenni di attività intellettuale, si ritrova, in un baleno, senza nulla da dire e nulla da ricordare: soltanto vuoto, sconcertante silenzio e imbarazzati sospiri. Sintetizzando, adesso, queste immagini in un’unica massima, potremmo dire: nulla va come dovrebbe andare! E non è forse questa la migliore definizione di “mostruosità”?
Tutto questo per dire che lo stile apparentemente “disordinato e sconvolto” del giovane autore di “Via di fuga n°6”, deriva invece, a nostro avviso, da una singolarissima sensibilità creativa perfettamente unita ad una investigazione concettuale profonda, ardita e sempre in cerca di nuove vie di espressione, di approccio metodologico e prospettive poetiche riguardanti la produzione e, allo stesso tempo, la ricezione musicale. Movimentato travaglio artistico mai pago delle proprie scoperte e nient’affatto voglioso di chiudersi in definizioni generiche o facili categorie interpretative. Tutto ciò fa apparire Remo De Vico, come un compositore dotato di due teste, o forse tre, cinque occhi, nove polmoni, tredici anime, ventuno timpani. Ci pare, insomma, che qualcosa, qui, non sia come dovrebbe essere. E il brano in analisi ne è esplicito esempio: un fulmine di buio, un pugno d’acqua, un treno che vola, un fuoco che asciuga. Ma soprattutto: delle orecchie che parlano!
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Le Journal du Colonel Astral

Alessandro Ratoci

“L’immobilità di un albero, cui il fatto di star sempre fermo in quel punto non preclude una ben maggiore longevità (quanto ad aspettativa di vita) e ben migliore qualità di vita, per usare terminologie attuali, è ben più nobile della mobilità dei mezzi semoventi e dei loro utenti. Che dire della pietra, delle rocce eterne e maestose, dei minerali tutti? Lasciamo pure in disparte le teorie, dall’antichità a oggi, sul movimento intimo della materia e degli atomi. Sono e resto convinto che gli atomi di un macigno, di un dolmen, non si muovono affatto!”. E. Baj

Di grande qualità, l’opera propostaci da Alessandro Ratoci: “Le Journal du Colonel Astral”. Quindici minuti musicalmente molto espressivi, ricchi di elevato pathos esecutivo e acuta sensibilità compositiva. Importante rilevanza assume, fin da subito, la presenza della voce recitante, la quale viene pensata e quindi proposta come elemento ritmico e centrale, perfettamente legato al tessuto dinamico dell’intero brano. L’ampio reparto percussivo, misurato e mai troppo invadente, si contraddistingue per i suoi interventi fulminei, tempestivi, traumatici: vere e proprie ascensioni e frane tonali che sembrano coinvolte in un’ardua ginnastica sciamanica, essenzialmente cadenzata da reiterati cedimenti e inverse erezioni di tensioni energetiche e risonanze strappate, entrambi sfocianti, a tratti, in vere e proprie dimensioni/celle rumoristiche di grosso e ricercato spessore acustico. Per quanto riguarda il folto apparato degli strumenti ad arco e degli strumenti a fiato, questo incarna a tutti gli effetti il ruolo di guida tematica lungo tutto il percorso dell’opera: diveniente filo rosso che, non ponendosi affatto come velo (tappeto) melodico o corazza armonica, si palesa semmai quale reticolato magmatico, scivoloso e compatto allo stesso tempo, aperto ad una audace sperimentazione musicale che attraversa, carezza e scompone, con fantasia e preparazione, più linguaggi stilistici. Diversificati atteggiamenti performativi che si fanno apprezzare in quanto capaci – in assenza d’ogni dogmatica legge cromatica e didascalico dettato accademico – di organizzarsi quale vorticoso elaboratore (orchestratore) di dissonanze progressive e congegno essenzialmente isterico (insoddisfatto, ansiogeno) che disseziona, deturpa e allontana, con intelligente voracità, ogni equilibrio o qualsivoglia congruenza timbrica, non scadendo mai, però, nel caos gratuito e perciò insignificante. Giacché l’autentica genuinità non è mai puramente gratuita. Nostalgica e dolcissima, infine, il breve e delicato canto affidato, verso le battute finali, alla calda voce di un soprano: frammento chiomato d’un astro siderale che fugace s’illumina e presto si silenzia immerso nel golfo nervoso, crudele e toccante che lo ha sì caramente ospitato – per farlo fuori! E in questo contesto, forse, si può trovare il probabile collegamento col tema dell’alienazione mentale a cui il testo recitato dall’attore fa riferimento. Cos’altro è la malattia, infatti, se non l’annegamento graduale, e spesso finale, di ogni identità, dignità e norma?  
Esperienza da non perdere, l’ascolto attento di questa pregevole composizione orchestrale, la quale ci dimostra, concretamente, quanto il concetto di musica sia sempre in perpetuo movimento e quanto, d’altra parte, la Musica stessa, misteriosamente, stia da sempre immobile, invisibile macigno che vibra e vive là dove non esiste niente.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Float Away

Mattia Bonafini

“Niente in natura è mutilo. Possono, infatti, sembrare mutile le ostriche in confronto alla lumaca che striscia, ma la lumaca sembrerà mutila in confronto alla talpa, e la talpa rispetto al cane, e questo rispetto all’uomo, ed anche l’uomo sarà mutilo se commisurato e paragonato ai demoni. E i demoni? Che saranno essi se paragonati alle Intelligenze superiori? E poi, tutte queste cose di cui abbiamo parlato e non solo queste, ma addirittura tutte le cose ed anche ognuna di esse, prese insieme e cementate come se fossero una cosa sola, se paragonate a Dio non solo sarebbero mutile, ma addirittura nulla; anzi, convenga o non convenga dirlo, sarebbero meno ancora di nulla. Perciò, di tutte le cose che ha creato la natura o non sarà mutila nessuna o lo saranno tutte”. G. C. Vanini

Non vi è nulla di più pedante e osceno della reiterata usanza di fondare ogni tipo di giudizio sul confronto e sul paragone. Il mondo dell’arte non può dirsi esente da tale confusionario orientamento e innata maledizione. Sembra quasi impossibile poter valutare ed apprezzare un’opera artistica senza doversi dilungare in dettagliatissimi raffronti con qualcosa di già esistente, di più antico e già saldamente conosciuto. Tale incancrenito atteggiamento critico dà vita a tutta una rutilante serie di ingegnosi accostamenti, erudite contrapposizioni e perniciosi parallelismi, che troppo spesso tendono a dire molto della eccellente preparazione del giudicante ma quasi niente del giudicato, ossia dell’opera viva, concreta e pulsante che si voleva presentare. Di tutto questo, a farne amaramente le spese sono le giovani creazioni e i giovani creatori, i quali si trovano condannati a vivere sotto la sferza di continui confronti e infiniti paragoni con le creazioni e i creatori del passato, non riuscendo, così, a sentirsi mai dei veri artisti, ovvero dei creatori di unicità e ignota meraviglia. In tal modo la tradizione, invece d’essere quella indispensabile brace da cui il giovane fuoco (il novello artista) dovrebbe suggere e acquisire linfa vitale e impulso propositivo, si deforma in gigantesco muro invalicabile, in diga insopportabile e tetro fardello che appesantisce, rallenta, affatica e fiacca ogni genuino slancio creativo. Raffrontare appare dunque come un minare e mutilare l’indiscutibile unicità di un’opera d’arte, che è unica in quanto unico è l’autore di quell’opera, la quale esiste proprio per testimoniare questa presenza assolutamente imparagonabile, impareggiabile, inconfondibile con nessuna altra presenza (vivente o passata che sia).
Non hanno ottenuto e mai otterrà un siffatto trattamento nessuno degli artisti ospitati da Studiolo Laps, perché chi scrive non ama mutilare alcunché e, soprattutto, perché qui, ossia all’interno di questo importante archivio sonoro, vi  è la straordinaria possibilità di dimenticare la musica e ogni sua paludata definizione, stantia nozione, asettico tecnicismo e mortifero accademismo espositivo. Di tale rara opportunità liberatrice ne è fulgido esempio l’opera di Mattia Bonafini, “Float Away”, viaggio sonoro di grande impatto e ricco di spunti espressivi sapientemente calibrati, diretti e giostrati dal genio dell’autore. Per più di nove minuti si viene sospinti, con ampia energia compositiva, da un crescente flusso acustico che, a mo’ di nave alata, trasporta l’ascoltatore attento in più direzioni timbriche, dandogli la possibilità di sperimentare (visitare) diverse dimensioni emozionali e sfiorare varie intuizioni poetiche, foriere entrambe di molteplici sensazioni e riflessioni tempestive. Una costruzione fluida, insomma, che attraverso risonanze, ripetizioni e vorticosi innesti tonali, ha il grande pregio e il bel merito di trasportarci in una  dimensione rarefatta, aerea, ignota: stella o falla o bolla sonora all’interno della quale non possiamo attaccarci a niente, non basarci più su nulla e scordare ogni cosa sentendoci, per un minimo istante, finalmente vuoti, finalmente vivi.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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If You Disappear, the Vacuum...

Remo De Vico

“Mi avvicino alla finestra, oh cara, e tra le nuvole che attraversano veloci il cielo in tempesta vedo ancora delle stelle. No, voi non cadrete! L’Eterno vi porta nel cuore, voi e me insieme”. J. W. Goethe

Può una composizione musicale trasformarsi in componimento letterario? O meglio, può un brano sonoro possedere la stessa forza espositiva e la pregnanza argomentativa di un testo scritto? Evidentemente sì, ed è esattamente ciò che contraddistingue l’affascinante opera di Remo De Vico, “If you disappear, the vacuum …”, la quale, come detto, non è soltanto una traccia audio, ma anche e soprattutto un intensissimo trattato filosofico avente per tema la vanità della vita, la sua inguaribile fragilità costitutiva, la sua vacuità assoluta. Un approfondito saggio timbrico, insomma, in cui viene investigata l’esistenza intera col suo irrimediabile carico di disperazione e insopprimibile tedio. Il brano qui presentato – composto da due parti molto diverse tra loro e quasi opposte – sembra formato da due piccoli capitoli sapienziali in cui, tramite melodiche ripetizioni (prima parte) e distruzioni oculate (seconda parte), viene esposta, sciorinata e descritta, con acume e sensibilità, l’evoluzione, la lotta, l’agonia quotidiana dell’uomo, da sempre alla ricerca di un senso definitivo a cui aggrapparsi e, allo stesso tempo, da sempre stupito, meravigliato ed esterrefatto di fronte alla estrema  e invalicabile nullità dell’esistere.
Allucinazione sonora, dunque, che genialmente si trasmuta in lucidissima indagine spirituale, in misteriosofica testimonianza personale splendidamente ricca di quella malinconia che “caratterizza il sentire di colui che, esperto della vanità e della nullità delle cose umane, spinge il suo sguardo sul vuoto universale e vi si lascia sedurre disperando non solo e non tanto dell’operari dell’uomo ma anche e soprattutto della redenzione. Malinconia, dunque, come desperatio dei; ma anche, successivamente, come vera e propria fissazione allucinatoria, come rinuncia a qualsiasi punto di vista sul mondo che non sia quello che vede il nulla ed esclusivamente il nulla” (Sergio Givone). E forse la musica non è altro che questo: chiusura degli occhi, estrema rinuncia, disperata quanto magnifica visione del nulla.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Modern West

Alessandro Rizzo

“Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l'occhio di guardare
né mai l'orecchio è sazio di udire.
Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole”. (Qoèlet)

Il sole se ne sta lì, come sempre, in alto, maestoso, saldamente assiso sul trono del cielo. Da lì dona luce e colore. Da re incontrastato dona i suoi raggi ad ogni ente della terra. Ogni cosa si illumina, si accende e si mostra in virtù del suo potere chiarificatore.
Rischiara il bimbo che gioca tranquillo per casa; rischiara il bimbo che muore inerme di fame.
Rischiara la mamma che pensa beata alla gioia; rischiara la mamma che trema sola di noia.
Rischiara il nonno che fuma calmo la pipa; rischiara il nonno che fugge lento dal boia.
Illumina il cuscino e lo smog. Accende la pentola e la cella. Mostra la croce e la spada.
In ogni caso, è sempre un regalo.
Questa breve riflessione, nasce dall’emozionato ascolto di “Modern West”, accurata e calda opera di Alessandro Rizzo, che non possiamo non ringraziare per averci spronato a guardare in faccia, senza infingimenti, l’impassibile chiarezza del sole.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Rubare le Caramelle a

Mozart Bambino

Remo De Vico

“Non so come appaio al mondo. A me stesso io appaio come un bambino che gioca sulla spiaggia. Mi diverto a raccogliere qua e là un ciottolo più liscio degli altri, o una conchiglia più graziosa – mentre il grande oceano della verità si stende inesplorato dinanzi a me”. Isaac Newton

Il brano presentatoci da Remo De Vico, “Rubare le caramelle a Mozart bambino”, di primo acchito può apparire uno scherzo, una burla irrispettosa, ma in realtà pare nascondere una concezione molto profonda riguardante la creazione artistica e, se vogliamo, la vita in generale. L’operazione di “rimontaggio ed elettrificazione della Sonata KV 14 di W. A. Mozart” qui messa in atto, ci ricorda quanto alla base del furto vi sia l’idea essenziale che niente è di nessuno. Che l’essere umano non è padrone di nulla, neanche del suo respiro personale, figurarsi di ciò che crea. Tutto sarà dunque di tutti! Nulla a che vedere con reati penali e atteggiamenti criminali, qui infatti si tratta di un tipo di saggezza tanto assoluta quanto particolarissima, perché appartiene esclusivamente ai nobili doni dell’innocenza purissima e istantanea degli infanti. Tocca tutto il bambino, rompe, prende, mangia, lecca, piscia, spezza, rompe, graffia, rovina e rimonta a suo modo ogni cosa, proprio perché non riconosce padroni né ammette autorità alcuna. Da qui la loro ingovernabile gioia di vivere, sincera e sfacciata. Remo De Vico, in conclusione, sembra invitarci a recuperare la nostra misera fetta di perduta innocenza infantile, ed è esattamente tale seria preghiera che, da sterile sfregio nichilistico, trasfigura la sua personalissima provocazione sonora, in energica esortazione vitale.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Newton's Song

The Electereo

Nel 1984 il compositore tedesco Wolfgang Rihm definiva la musica in questi termini: “la musica è libertà, codice simbolico-sonoro coniugato al tempo, cifra di un’indispensabile dovizia di forma, colorazione e plasmatura del tempo, espressione sensibile di energia, immagine e balìa della vita, ma al tempo stesso immagine contraria, controprogetto: è l’altra cosa (di cui – in quanto tale – non posso sapere che sia)”.
Ed è proprio a proposito  di “colorazione e plasmatura del tempo”, che l’ascolto di “Newton’s song”, elegante opera sonora firmata The Electereo, ci offre la possibilità di esperire una sorta di momento estatico strettamente legato ad un profondo straniamento temporale. Durante i quattro minuti e venti secondi del brano, infatti, pare che il tempo non segua più il suo corso ordinario e quotidiano, la sua vettorialità lineare e rigida, bensì sembra dilatarsi, gonfiarsi, enfiarsi, ingrandirsi, donandoci così l’occasione di sperimentare una particolarissima specie di fuga transcosciente dalle solite dimensioni sensoriali e appercettive. Appena il brano si avvia alla conclusione, non sembra che siano passati solo pochi minuti, ma una intera giornata, un intero mese, forse una intera vita.  Ciò è dovuto essenzialmente all’importante ricerca sonora messa in atto da Alessandro Rizzo e Remo De Vico, i quali hanno il merito di creare un ambiente acustico caratterizzato da suoni piccoli, minimali, non invadenti, morbidi, persino dolci e a tratti quasi carezzevoli. Il magma sonoro che ne esce fuori si presenta ottimamente organizzato e l’ordito finale palesa una lodevole affinità esecutiva, davvero ben amalgamata e di notevole fattura.
Risulta sempre molto arduo riuscire a costruire una buona sintonia di intenti quando si decide di condividere un percorso artistico con altre persone, eppure, in questa occasione, il sodalizio sonoro degli The Electereo si presenta come assoluto valore aggiunto da approfondire e continuare, tenendo sempre a mente l’importante incipit con cui abbiamo deciso di aprire, ovvero: “la musica è libertà”, ossia diversità, unicità e irripetibile complessità.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Miel

Violeta Cruz

All’interno del pregevolissimo archivio musicale, scelto con raffinata dedizione e curato con molto impegno dai responsabili dello StudioloLaps, l’opera “Miel” di Violeta Cruz, rappresenta un’importante tappa artistica e una rilevante conquista stilistica. L’ascoltatore attento si ritroverà presto immerso in un delicato percorso sonoro, in cui pare si abbia a che fare direttamente con la carne viva dello strumento musicale, adoperato anzitutto come corpo dinamico, organo vibrante, attrezzo animoso.
Il paetzold flute, infatti, qui non si presta ad essere vettore di tessiture melodiche, né apparato principe del dialogo armonico, bensì viene pensato dalla Cruz quale potente congegno emozionale di eruzioni acustiche e molteplici stupori. Meravigliosa esplosione sonora che trasforma il brano in questione in esperienza prevalentemente epidermica, sperimentazione concreta e tangibile di onde sonore e sensazioni immediate. Tramite le azioni immaginifiche e gli input transrazionali messi magistralmente in moto dai vari musicisti coinvolti nella esecuzione finale dell’opera, l’ambiente acustico si trasfigura ora in concerto di trapani ostinati a franare i muri cavernosi dei timpani, poi in piccolo inno al respiro pneumatico o salmo infuocato da rivolgere ai tuoni celesti, fino ad eclissarsi in sinfonia romantica di grilli dolcemente sfiniti dall’amore assordante. Oppure pioggia di spilli arrugginiti, sventolio di mani invecchiate, ruggito di lacrime perse perché troppo più dolci del miele. E mille altro ancora. Giacché la musica non è mai soltanto musica; un pregevolissimo archivio e un’importante lavoro musicale stanno sempre qui, virtualmente, a ricordarcelo.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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L' ALCHIMISTA STRALUNATO

Slaps Orchestra

L’idea fondante di queste nostre recinzioni, è l’intenzione di approcciarci all’ascolto di un’opera sonora al di là di ogni fruizione meramente passiva, distensiva, svagante. Il recinto è l’esatto contrario del libero (di)vagare, in quanto delimita, costringe, cancella ogni possibilità di fuga. Ciò da cui siamo convinti non si possa scappare, è l’impatto emozionale che una determinata opera, rapendoci (chiudendoci), ci regala. Urto magico e sensoriale che spinge e costringe ad attivare condotte inedite di riflessione e scrutamento interiore. La musica, insomma, quale spina invisibile che punge timpani, cuore e meningi.
In questa occasione, l’ascolto de “L’Alchimista Stralunato (estratti dal Primo Concerto Show Surrealista della Slaps Orchestra)”, opera nata dal genio di Remo De Vico e Francesco Bianco, ci obbliga a riflettere circa le nozioni concettuali di salute e malattia. A tal proposito, l’americano John H. Tilden, dottore in medicina e poi studioso igienista, afferma: “Quando il sistema nervoso è normale, quando cioè si ha la pienezza delle energie nervose, la salute è buona. La malattia comincia a manifestarsi solo quando l’ambiente o le abitudini personali sfruttano l’energia più rapidamente di quanto sia generata. Per non avere malattie è necessaria una vita ben ordinata, energie nervose mantenute a livello normale o press’a poco. Quando invece l’energia nervosa è prodigalmente dispersa si instaura uno stato di logoramento e si verifica una ritardata eliminazione dei rifiuti con conseguente deposito di scorie e tossine nel sangue, che causa la Tossiemia o autoavvelenamento, che è la prima, l’ultima e l’unica vera malattia che si possa sviluppare nell’uomo”.
Se dall’energia nervosa dipendono malattia e salute, ne viene che la sanità autentica implica una lotta costante e personale contro l’accumulamento, il logoramento e lo sfinimento eccessivo, derivanti dall’ambiente esterno e dai nostri stessi reiterati vizi. Se mai un giorno, questo dettato igienista sarà preso realmente sul serio, capiremo che il nostro esclusivo dovere è restare intatti, non disperdersi, ordinarsi. In sintesi: non tardare l’eliminazione dei rifiuti.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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IL LONTANO CONFUSO MORMORIO

Rouzbeh Rafi'e

Per non finire stritolati dalla morsa tritacarne della società consumistica, secondo cui ha positivo diritto di esistere esclusivamente chi produce utile, dovremmo spenderci in attività capaci di muoversi in territori inesplorati, ossia non ancora colonizzati dall’onnivoro impero del mercato contemporaneo. Come una di queste nuove attività, mi permetto di proporre la “creazione di connessioni immateriali”, la quale, nella fattispecie, si tradurrà nell’associare una determinata opera musicale ad una altrettanto determinata  testimonianza storica. Avremo così la possibilità di instaurare una nuova disciplina teorico-conoscitiva, che ingloberà in sé la conoscenza dell’arte sonora e lo studio degli strumenti idonei all’indagine storiografica. Una disciplina, insomma, che unisca storia e musica, e che potremmo chiamare: Musica della Storia. Certo, sarebbe un lavoro immenso e, come ogni immensità, infinito (inconsumabile!). Ma si deve pur cominciare e quale inizio migliore se non quello offertoci dalla pregevolissima opera di Rouzbeh Rafi'e D., “Il lontano confuso mormorio”, che desideriamo associare ad una drammatica quanto struggente testimonianza tratta dalla “Lettera della chiesa di Smirne sul martirio di San Policarpo”: “Quando il rogo fu pronto, Policarpo si spogliò di tutte le vesti. Subito fu circondato di tutti gli strumenti che erano stati preparati per il suo rogo. Ma quando stavano per configgerlo con i chiodi disse: “Lasciatemi così: perché colui che mi dà la grazia di sopportare il fuoco mi concederà anche di rimanere immobile sul rogo senza la vostra precauzione dei chiodi”. Quelli allora non lo confissero con i chiodi ma lo legarono. Dopo che ebbe pronunciato l’Amen e finito di pregare, gli addetti al rogo accesero il fuoco. Levatasi una grande fiammata, noi, a cui fu dato di scorgerlo perfettamente, vedemmo allora un miracolo e siamo stati conservati in vita per annunziare agli altri le cose che accaddero. Il fuoco si dispose a forma di arco a volta come la vela di una nave gonfiata dal vento e avvolse il corpo del martire come una parete. Il corpo stava al centro di essa, ma non sembrava carne che bruciasse, bensì pane cotto oppure oro e argento reso incandescente. E noi sentimmo tanta soavità di profumo, come di incenso o di qualche altro aroma prezioso”.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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L' ALCHIMISTA dA GIOVANE

Matteo Capogna

Il rito si svolgerà all’interno di un vecchio mattatoio in disuso, abbandonato da decenni, per metà sventrato, senza più infissi, col tetto pericolante, sito in un luogo sperduto, semisconosciuto, fuori mano, difficile da raggiungere, assai distante dal tran-tran cittadino, al riparo dal blabla umanoide, lontano dal tanfo insonne delle industrie private.  Un rudere tragico insomma, un antico tempio del massacro salariato, un ex palco dell’assassinio alimentare,  incidentato, con le mura scure, indecenti, sporche, fradice di umidità e muffa, tappezzate di muschio, urina e profonda incuria. Al centro di questo dismesso santuario della morte istituzionalizzata, ricovero di ripetuti squartamenti, verrà piazzato un raffinatissimo tappeto persiano di notevoli dimensioni, contornato con tanti lumini accesi, petali di rose appassiti, incensi orientali, cicche di sigarette spente, sputi e vecchi stracci multicolori. Agli estremi orizzontali del tappeto, invece, saranno posti, da un lato, una coppia di grossi altoparlanti e, dall’altro, un telo di stoffa bianca. Gli altoparlanti trasmetteranno, in loop, la toccante opera “L’alchimista da giovane” di Matteo Capogna, mentre sul telo incideremo col nostro stesso misero sangue, questi celestiali versi di Nootkan: “Non ti accade mai/ a te che abiti lassù nei cieli/ non ti accade mai di stancarti/ delle nuvole/ che stanno tra te e noi?”.
Fatto ciò, potremmo tranquillamente tornare a riempirci i polmoni di smog metropolitano e, come se nulla fosse, continuare sereni a perderci nella estatica contemplazione dei cangianti panorami che illuminano placidi e senza sosta gli infiniti sobborghi urbani. Oppure, impavidi, accetteremo la sfida di portare a compimento il nostro oscuro rito. Impavidi, accetteremo la sfida, l’ultima sfida e, senza fretta alcuna, attenderemo il santissimo crollo di questo povero tetto, questo nostro cielo così tanto umano, cielo di cemento e sudore, chimico e organico a un tempo. Attenderemo mesti, calmi, sorridendo, leggeri, finalmente lontani, senza stanchezze. Come nuvole.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Favoletta di Bosco

Alessandro Rizzo

Nell’epoca iper-razionale in cui, nostro malgrado, ci ritroviamo a vivere, se ci ponessero la semplice domanda che cosa è un diamante, molto probabilmente saremmo portati a rispondere, con estrema precisione, che i diamanti sono la modificazione cristallizzata di quel minerale non metallico, inodore e insapore, denominato carbonio puro, il quale nella tavola periodica degli elementi ha come simbolo C, mentre il suo numero atomico corrisponde al 6. Non contenti di questo chiarimento alquanto spoglio e superficiale, per amore di oggettività analitica, ci addentreremmo allora negli aspetti più particolari, iniziando quindi a spiegare, con piglio tutto scientifico, che il diamante è costituito da un reticolo cristallino di atomi di carbonio disposti secondo una struttura tetraedrica. Subito dopo ci inoltreremmo a specificare che il termine “tetraedro” viene impiegato in geometria per indicare un poliedro a 4 facce triangolari, con 4 vertici e 6 spigoli. Al che, giunti a questo punto, non potremmo non sottolineare che per “poliedro” si intende un solido delimitato da un numero finito di facce piane poligonali. Mentre per spiegare il termine “poligono” non potremmo non fare ricorso alla più raffinata sapienza etimologica, grazie alla quale apprendiamo che il termine in questione deriva dal greco “polys” e “gōnia”, ovvero “molti” e “lati”.
In tutto questo lineare sciorinamento di approfonditi nozionismi e perfette descrizioni (che necessariamente rimandano ad altre infinite inevitabili delucidazioni), ciò che vi è di davvero curioso è che, forse, neppure per un attimo ci sfiorerà il dubbio che a chi ci pose la suddetta semplice domanda, non gli interessava nulla della nostra intellettualistica volontà di chiarezza discorsiva (formale, oggettiva). Egli, è vero, ha appreso tante cose, tranne ciò che voleva sapere. Perché, in fin dei conti, la conoscenza autentica non ha nulla a che vedere con parole, nozioni, definizioni logiche e spiegazioni, bensì ha a che fare con una esperienza tutta intima ed interiore, ovvero esclusivamente soggettiva. Per questo motivo, se mai un domani un marziano, malauguratamente caduto su questo ammasso di fango e preparatissimi cervelli chiamato Terra, dovesse porgermi la domanda che cosa è un diamante, non gli spiegherei assolutamente nulla, ma gli consiglierei di ascoltare la lucidissima e sfolgorante opera di Alessandro Rizzo, coadiuvato dalla eccellente maestria esecutiva di Mirko Onofrio, dal titolo “Favoletta di bosco”.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Focus

Mattia Bonafini

“Focus” di Mattia Bonafini, gode del raro barlume delle gemme preziose. Ciò che in questa opera abbaglia positivamente è la potenza illuminante di una meditazione profonda che, originata da una seria inquietudine esistenziale, sbocca (sboccia) in una calibrata quanto raffinata trama sonora che si fa apprezzare per la sua concreta struttura interna. Profondità meditativa che, ben legata ad una solida singolarità espressiva, trasporta l’ascoltatore attento in una dimensione sospesa, eccentrica, vorticosa, in cui altre voci, immagini e alte speculazioni paiono risuonare in modo inequivocabile, seppur rimanendo sempre sottili e quasi impalpabili, fantastiche e irraggiungibili, sognanti e terribili. In questa imponente eco di ritorni, ci piace immaginarci che, da lontanissimo, ci arrivi ancora la rischiarante testimonianza di chi mise perfettamente “a fuoco” l’unicità attuale e intramontabile del soggetto pensante, fiamma che brilla soltanto se brucia, soltanto se vive, soltanto se (si) pensa: “Il pensiero volgare crede che l’uomo che si sveglia, metta in fuga le immagini del sogno, – quel mondo affatto soggettivo che non è il mondo, – mediante le sensazioni della natura materiale; che sarebbe la corda, a cui gli converrebbe afferrarsi per non naufragare nel pelago della inconsistente realtà della sua fantasia. Ma il contrario è vero. Quando infatti sul primo svegliarci ci tocchiamo, e giriamo attorno lo sguardo ai materiali oggetti che ci sono intorno, per riscuoterci meglio e riacquistare chiara e netta coscienza del reale, noi non abbiamo negli oggetti stessi e nella natura esterna la pietra di paragone del reale, anzi in noi stessi. E se si prescindesse da questo centro di riferimento di tutta l’esperienza, che è l’Io, intorno al quale essa si organizza e sistema, la realtà si giustaporrebbe alle cose vedute fantasticando e a tutta la vita vissuta nel sogno, senza possibilità di discriminazione e valutazione. Di guisa che, sottraete la vostra soggettività dal mondo che contemplate, e il mondo diventa un rêve, senza positività; introducete la presenza vostra nel mondo dei vostri sogni (come ci accade quando si sogna, e non c’è dissidio tra il contesto generale dell’esperienza e le cose sognate), e lo stesso sogno diventa massiccia realtà, positiva tanto da scuotere la nostra personalità, appassionarci, farci vibrare di gioia o tremar di paura”. (Giovanni Gentile)
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Ex - Post

Francesco Bianco

Abita dentro di noi una indefinibile entità estranea che ci parla di continuo. Noi stiamo sempre a sentirla, la seguiamo ogni istante, ascoltiamo con certosina attenzione il suo inesausto dettato ed eseguiamo pedissequamente ciò che ci ordina, senza battere ciglio, senza esitazione alcuna. Risiede in noi ciò che sentiamo di più lontano, di più inafferrabile e incomprensibile. Quello che ci allontana da noi stessi è situato esattamente al nostro interno. La nostra interiorità più intima vive preda di una alienazione irreversibile, eppure senza di essa sarebbe impossibile verbalizzare e tessere il dedalo semantico della nostra esistenza terrena. Questa estraneità intima, di continuo, buttiamo fuori, ossia espelliamo al di là di noi. E sempre con questa, senza sosta, costruiamo il mondo e le sue infinite interpretazioni, i giorni e i suoi contati tramonti, le glorie e le immancabili disperazioni della vita. Il significante, la parola, l’argomentazione sintattica con cui tentiamo di alleggerire il peso mortifero delle ore è, in breve, il vampiro immorale, il boia cinico dei nostri respiri quotidiani.
Il canto, la voce adoperata come creatrice di un attualissimo aldilà sonoro è invece il dispositivo organico e, al tempo stesso, perfettamente immateriale, tramite cui l’uomo tenta di porre rimedio alla emorragia cronica del discorso simbolico testé descritta. Nel canto, l’assetato nemico interno viene combattuto e ridotto a suono vivente, vigoroso, indimenticabile e tramite tale operazione artistica ci si può finalmente sentire vivi, unici, irripetibili. Tutto il resto è esercizio di parole, retorica assurda e disperante, flatus voci, peti verbali e verbosi. L’opera “Ex-Post” di Francesco Bianco, a nostro modestissimo avviso, ripresenta in modalità sonora quanto scritto.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Fascismi Bellissimi

Montaggi per un Regime molto più Gaio

Remo De Vico

L’ascolto dell’opera “Fascismi Bellissimi – Montaggi per un regime molto più gaio” di Remo De Vico, ci offre la possibilità di porci una serie di domande sul potere del fascino e il fascino del potere. Cosa vi si può trovare di davvero così affascinante nel suono dirompente delle mitragliatrici fumanti che come acidissimi e spietati rullanti mirano a spegner per sempre l’udito del nemico? Quale oscuro fascino guida e trascina mandrie di giovanotti e meno giovani a marciare a tempo rigido e regolare e poi a cantare con disciplina ferrea alti inni alla vittoria sperata e alla vita da sacrificare per una tetra bandiera furiosamente agitata in preda ai fumi potenti dell’entusiasmo massificato? E non è forse proprio l’entusiasmo dell’uomo l’unica dittatura terrena, il suo unico inferno, la sua eterna guerra?
Credere nella forza è una idea; puntare sulla forza è un ideale, ma né l’idea né tantomeno l’ideale rappresentano il problema, bensì quel “credere”, quella fiducia, quella fede, quella mistica da caproni. Eppure essi cantano, eppure essi vivono il ritmo della esistenza che proprio in questi battiti e in questi canti afferma, silenziosa e pacifica, il suo destino immutabile, la sua firma inconfondibile: SEMPRE GAIA.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Free Electronic Jazz

Remo De Vico

Gli improvvisi dissapori, le ansie congenite da addomesticare, le maledette mani che tremano e sudano sperando di non restare sole, o al buio, mentre il rumore rauco dei giorni cadenti che avanzano sordi, riempie e comprime lo spazio dei pensieri flessibili, flebili, quasi sottovoce,  in rispettosa riverenza di fronte ai disordinati quanto insistenti guaiti virali dei cani in calore o in semplice, maschia, fremente attesa di poter svuotare all' aria aperta la stracolma vescica dolorante perché giunta al limite della sopportazione massima. Di queste e altre alterazioni va componendosi la misera esistenza dei mortali abitanti umani del pianeta Terra. E per obliare queste e tante altre (de)gradazioni della vita esiste la musica. Anche "Free Electronic  Jazz" di Remo De Vico, ci offre la possibilità di sperimentare, senza mediazioni quotidiane, l' Altro,  l' Inesistente,  il fantasma ritmico, la pura maschera acustica di ciò che non siamo e che non saremo mai,  forse ...
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Triptych

Remo De Vico

Non aver paura di esagerare è stato da sempre il requisito fondamentale per creare qualcosa di importante nel campo dell' arte. Disconoscere i limiti della propria tradizione estetica, negarne i troppo labili confini storici, abbattere ogni barriera convenzionale è il compito principe ed essenziale di ogni artista che voglia porsi e quindi rappresentarsi come evento unico e irripetibile. Questa opera di demolizione - base fondante di ogni sincera attività creativa - comporta l' entrata immediata in una dimensione sconosciuta, ossia non decifrabile secondo i consueti canoni classici, la quale di conseguenza apparirà, in modo inevitabile, come un che di perturbante, spaventoso, pauroso. Ne segue che quell' iniziale non aver paura di esagerare si trasfigura ora, tramite lo sperimentare artistico, in un non aver paura di far paura, di spaventare, di impaurire. Perché in fondo, di ogni opera valida, autentica e viva - come "Triptych" di Remo De Vico - ciò che ci colpisce nel profondo è proprio la sua intrinseca capacità di colpirci, ovvero di farci prendere, letteralmente, un colpo.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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The Hysterical World of Lucy

Remo De Vico

L' opera di Remo De Vico - The hysterical world of Lucy - sembra un frutteto instabile che di continuo calamita ultime volte al quadrato o requiem spaziali o appuntiti biscotti farciti con sante calamità che ci fanno benedire la luna per averci donato un occhio sano in cui poter finalmente infilare di netto la sferica matita dell' armonia esplosa per sempre.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Metamorfosi I:

Il Ciclo dell' Acqua

Remo De Vico

Ad ogni ciclo dell’ esistenza umana possiamo assegnare una differente metamorfosi di quella identica cascata di liquidi che qui definiamo, per terminologica comodità di sintesi, pioggia. A quel primo ciclo che è la nascita umana, appartiene la pioggia di sperma, liquido caduto che dà vita. Al secondo, ossia alla vita vera e propria, appartiene la pioggia di sangue, che altro non è che sperma in atto, attualità dinamica, fluido vivente appunto, in cammino, laddove “il nostro camminare è un cadere continuamente trattenuto” (Arthur Schopenhauer). Infine, al terzo ciclo, che si risolve nella morte, appartiene la pioggia di polvere. Polvere va qui intesa come ciò che resta del sangue rappreso, non più vivo, deceduto, decaduto, che si secca, diventa duro e inizia a frantumarsi ineluttabilmente, fino ad addivenire talmente leggero e friabile da esser presto sparso via dal vento. Metamorfosi di un’ unica identità liquida, inconsistente, evanescente. “Metamorfosi I: Il ciclo dell’acqua” di Remo De Vico, conferma i presupposti basilari di quanto detto: nell’ anima dell’ uomo piove sempre, mentre il suo destino è asciugarsi.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Le 23 e 44

The Electereo

Suonare, senza sosta, salde sessioni sospese su silenzi sottili, sempre sufficientemente sacri, salutati sordi, sorpresi stupendi.
Tali torbidi tempi, tragiche tracce, toniche tenzoni, tengonti teso tra tempeste tristemente tenui, talvolta tenaci, tutte tremende.
Ormai ogni onda omaggia orme ossessive odoranti orticarie opache, ovvero ottime orchestre oscure, orditi ostici, orazioni oscene.
Pacatamente possiate, pian pianino portare, - per passione, per pietà - possente pazienza, pigliando piccolo piacere panico presentandovi più puri, più poveri, persino più perversi, presso: The Electereo, 'Le 23 e 44'.
Malista


Le RecinZioni di Malista:
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Sinfonia Elettronica Prima:

LA CASA

Remo De Vico

Non capita spesso di trovare qualcuno in grado di fornirci, quasi per dono, le coordinate giuste per perderci. Perché, in realtà, non è detto che ogni dono debba rendere felice colui che lo riceve. Così come, per qualcuno, non il compito di sollevarci, rasserenarci e addolcirci deve essere assegnato - come un presupposto arbitrario, un dogma secolare e dunque un pregiudizio infondato - a quella specifica quanto vastissima forma d' arte denominata musica. In Remo De Vico, e più esattamente nella sua opera "Sinfonia Elettronica Prima: La Casa", le tre negazioni appena citate, ovvero questi precisi "non capita spesso", "non è detto", "non deve essere", brillano di grande energia espressiva e ci illuminano, quasi per dono, la via migliore per non trovarci più.
Malista

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