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Daniele Del Monaco
1. Sestetto 10:59
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“L’arte è il sentiero del creatore verso la sua opera. I sentieri, o metodi, sono ideali ed eterni, per quanto siano sempre in pochi a vederli, e neanche l’artista stesso li vede per anni o per un’intera vita, a meno che non venga a trovarsi nelle condizioni necessarie. Il pittore, lo scultore, il compositore, il rapsodo epico, l’oratore, tutti condividono un solo desiderio: quello di esprimersi con proporzione e a profusione, non in modi spiccioli e frammentari. Essi si trovano o si pongono in certe condizioni, come il pittore e lo scultore dinanzi ad alcune figure umane che li impressionano; l’oratore, in un assembramento di persone; e gli altri in scene tali che ciascuno le trova eccitanti per il suo intelletto; e ciascuno avverte immediatamente il nuovo desiderio. Ode una voce, vede un cenno. Poi capisce, con meraviglia, quali orde di demoni lo circondano”. R. W. Emerson
Nel variegato orizzonte della storia dell’arte, non è raro incontrare fenomeni artistici o singoli creatori che hanno tentato di scardinare e stravolgere quel concetto classico che vuole l’arte quale regno indiscusso dell’armonia estetica e dell’eleganza stilistica. Tentativi mirati, anzitutto, ad abbattere l’incanutito dogma secondo cui l’arte debba essere a servizio esclusivo della bellezza, della grazia, del piacevole, del godibile. In questo contesto di demolizione teorico-pratico, possiamo comprendere e includere varie sperimentazioni appartenenti ai diversi campi dell’esperienza artistica. Codesti grandi distruttori di vecchie certezze estetiche, appartengono in realtà ad un’unica grande famiglia: il pittore che usa la sua tela quale supporto tecnico-espressivo da bucare, tagliare, estroflettere, incendiare, incatramare e, quindi, non più soltanto come strumento per rappresentare (ri-presentare) il presupposto e opinabilissimo fascino della realtà (immaginaria o reale che sia); il regista cinematografico che spegne le cicche di sigarette sulla pellicola del proprio film, che vi infierisce con lame e coltelli, senza più alcun rispetto per l’immagine, la trama narrativa, il senso, il contenuto ecc. ; il poeta che rompe il verso e scorda il linguaggio, rendendoli finalmente liberi e non più sottomessi ad essere meri vettori di toccante liricità e leggiadre risonanze interiori; lo scultore che deforma la materia su cui lavora, che stravolge i canoni formali della prospettiva, che dileggia apertamente i rapporti delle proporzioni affinché si possa, in tal modo, superare la soglia della normalità e così sperare di sfiorare il mai visto o l’inguardabile; l’artista teatrale che non vuole pensare lo spazio scenico quale piazza pubblica del miserabile privato umano, quale amplificatore fisico della quotidianità antropologica (sociale, politica, economica, ecc.), ma che invece intende ricollegarsi a quella origine misterica secondo la quale a teatro si andava per essere testimoni di un evento terribile e spaventoso, ossia per assistere alla morte di un dio e non certo per ascoltare le trite scemenze logorroiche dell’essere bipede e parlante. Tutti questi deturpatori, insomma, sembrano accomunati da un’identica sete di estrema autonomia espressiva e dall’identico desiderio di non rinchiudere l’esperienza artistica in facili definizioni o concetti preconfezionati. Di questa eroica famiglia di banditi e pirati santi, ne fanno parte anche i creatori musicali, i quali forse più di tutti sentono il bisogno di superare categorie troppo restrittive e soffocanti. Ne è un esempio l’impegnativa opera di Daniele Del Monaco che abbiamo l’onore di presentare oggi, il cui titolo sintetizza alla perfezione quanto finora scritto: “Musica ripudiata”. Attraverso nove brani molto complessi, il nostro compositore mette in atto tutta una serie di raffinati procedimenti destrutturanti grazie ai quali l’intera opera risulta sfuggire ad ogni precisa o facile o definitiva classificazione. Un ricercato radicalismo musicale che gonfia a dismisura l’apparato e i vari congegni orchestrali, dotandoli così di una particolarissima potenza acustica in grado di stordire nel profondo l’ascoltatore, il quale ben presto vacilla e viene risucchiato in un gorgo di violenza e oscenità sonore dal grande effetto emotivo e percettivo. Tutto ciò unito ad una eccelsa poetica del caos e del disordine, che si fa apprezzare per la rigorosa concettualizzazione compositiva e per la notevole esecuzione sinfonica. Un’opera, in breve, che ci conferma quanto sin qui sottointeso: chi ripudia l’arte non la uccide affatto, bensì l’omaggia e l’eterna.
Malista
Studiolo Laps - Unconventional Musical Research