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Omaggio al Pazzo di Flaubert

Alessandro Rizzo / Mario Lino Stancati

Suite Elettroacustica
di Alessandro Rizzo e Mario Lino Stancati
ispirata alle “Memorie di un Pazzo” di Gustave Flaubert


1.Prologo 03:14
2.Che Questo Vapore di Sangue s’Acqueti 07:10
3.Singhiozzi Sciorinati in Periodi Sonori 16:50
4.Un Abisso Vuoto, Povera Mamma 03:28
5.Sbiaditi Ricordi, Rose Appassite 07:56
6.L’Oscuro Ardore della Carne 06:07
7.E Pur Crudelmente Rido della Lenta Agonia 08:21
8.Epilogo 05:48

Composizione e Live Electronics: Alessandro Rizzo / Mario Lino Stancati
Mixing e Mastering: Alessandro Rizzo
Tra i campioni sonori utilizzati è doveroso citare:
- (Tr.3) - Estratto dall'album: Wadada Leo Smith - Red Sulphur Sky - Tzadik - 2001;
- (Tr.7) - Estratto dall'album: Makigami Koichi - Kuchinoha - Tzadik - 1995
In Copertina:
"Contorsioni lineari" - Cera e matita su cartoncino nero di Mario Lino Stancati

"Omaggio al Pazzo di Flaubert" nasce dal desiderio di sperimentare e rintracciare le possibili corrispondenze tra letteratura e musica. In che modo una tessitura musicale può ripresentare in frequenze sonore la partitura sintattica di una determinata opera letteraria? Attraverso quale operazione gli stati d'animo e i vari messaggi intellettuali veicolati attraverso le pagine di un libro possono essere trasfigurati in linguaggio musicale? A questi e altri interrogativi programmatici  si è tentato di dare una personalissima risposta, facendo ricorso a sonorità e dispositivi elettronici, utilizzati come strumenti chiavi per costruire un ponte sonoro tra il mondo simbolico delle parole e l'universo magico della musica. M.L.S.

Released March 24, 2016 - Studiolo Laps ___SL056___


Picture

Prologo
“Avevo dapprima inteso di scrivere un romanzo intimo, dove lo scetticismo fosse spinto sino ai confini estremi della disperazione; ma a poco a poco, nel comporre, l’impressione personale filtrò di sotto la favola: l’anima allontanò da sé la penna, e la spezzò. Conoscerete le avventure della mia vita, così quieta e banale, traboccante di sentimenti ma priva di fatti. E mi direte allora se tutto non è che scherno e derisione, se quello che si ripete in coro nelle scuole, quello che si legge nei libri, o si sente e si dice, se tutto quanto esiste … Non finisco la frase, tanta amarezza provo a parlarne. Ebbene: se tutto questo infine non è pietoso, un po’ di fumo, un nulla!”

2.Che Questo Vapore di Sangue s’Acqueti
“Ecco dunque la delusione: perché noi restiamo a terra, su questa terra gelida che soffoca ogni fiamma, che smorza ogni ardore! Per quale scala tornare dall’infinito alla realtà? Fino a che punto la poesia può abbassarsi senza morire? Come imprigionare questo gigante che abbraccia l’immensità?”

3.Singhiozzi Sciorinati in Periodi Sonori
“La porta s’aprì da sola, entrò gente in camera. Erano di varia statura, col viso coperto d’una barba nera e ispida; non portavano armi, ma tutti avevano una lama d’acciaio fra i denti, e mentre s’avvicinavano in cerchio attorno al mio letto, i loro denti scricchiolarono. Aprirono le candide cortine, ogni dito lasciava una traccia insanguinata: mi guardarono allora con grandi occhi sbarrati, senza palpebre. Vidi che tutti avevano un lato del volto senza pelle, la carne sanguinava lenta. Alzarono i miei vestiti, anch’essi erano madidi di sangue; mangiarono, e le fette di pane colavano sangue a goccia a goccia. Risero, e il loro riso mi parve il rantolo d’un moribondo. Poi, quando se ne furono andati, tutto quello che avevano toccato, i muri, la scala, il pavimento, tutto aveva preso colore di sangue”

4.Un Abisso Vuoto, Povera Mamma
“Un’altra volta – fu in una campagna verde, smaltata di fiori, lungo il corso di un fiume – andavo con mia madre, che camminava proprio sulla riva. Ella vi cadde dentro. Vidi l’acqua schiumare, vidi i cerchi ingrandire e sparire a un tratto, la corrente riprendere il suo corso. E non rimase che il fruscio dell’acqua fra i canneti, che faceva piegare i giunchi”

5.Sbiaditi Ricordi, Rose Appassite
“M’attacco a piccole gioie, tutte mie, fatte di ricordi infantili che tornano per riscaldarmi, come raggi di sole al tramonto fra le sbarre d’una prigione: ricordi fatti di niente, eventi minimi, un giorno di pioggia o di sole splendente, un fiore, un vecchio mobile, che però richiamano una serie di altri ricordi, che affiorano confusi, sbiaditi come le ombre. Giochi puerili sull’erba, nei prati pieni di margherite, dietro la siepe in fiore, lungo i filari dai grappoli d’oro, sul muschio verde cupo o sotto l’ombra fresca delle foglie; ricordi calmi e lieti come un sorriso dell’età innocente, mi ripassate accanto, oggi, come rose appassite”

6.L’Oscuro Ardore della Carne
“Anche oggi, oggi che tutto irrido, amaramente certo di quanto sia grottesco il vivere, oggi pur sento ancora che l’amore, questo amore che m’ha fatto piangere e di cui dopo ho sorriso, è ancora la più sublime delle cose; o forse la più ridicola sciocchezza. Aver amato, aver sognato il cielo, aver conosciuto quel che nell’anima vi è di sublimemente puro, e incatenarsi, dopo, nelle pesantezze della carne, vinti dal languore del corpo! Aver sempre sognato il cielo, e cader nella mota!”

7.E Pur Crudelmente Rido della Lenta Agonia
“Giungerà finalmente la gioia sulla terra, quando il vampiro falso e menzognero chiamato civiltà sarà scomparso; l’uomo abbandonerà lo scettro, il manto regale, i diamanti, la reggia che crolla, le città che rovinano, per raggiungere i lupi e le cavalle. Dopo aver vissuto nei palazzi, dopo aver torturato i suoi piedi sul lastrico delle città, l’uomo se ne andrà a morire nei boschi”

Epilogo
“Vorrei qualcosa di sciolto dall’impaccio della forma, dell’espressione, qualcosa di puro come un profumo, di forte come la pietra, ma inafferrabile come un canto … E forse tutte queste cose insieme, ma senza imprigionarsi in nessuna. Tutto, nella natura, mi sembra limitato, gretto, fallito. L’uomo, pur con il genio e con l’arte, non è che uno scimmiottatore miserabile d’una più grande verità. Nell’infinito vorrei il bello, e vi trovo soltanto il dubbio. Quanti giorni, quanti anni, li ho trascorsi seduto a non pensare a nulla (o a tutto?), perso in quell’infinito che volevo afferrare, e che invece mi inghiottiva!”


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